Canne fumarie nel condominio, sentenze

 

 

 



Costi e guida per installare canne fumarie - Habitissimo


Quando è possibile installare una canna fumaria? 

 

Quali sono le regole e le distanze da rispettare? Quali autorizzazioni sono necessarie? A chiarire tutti questi aspetti ci hanno pensato due sentenze della Cassazione, l’ultima delle quali pubblicata pochi giorni fa [1].

Per installare una canna fumaria in condominio (il caso classico è quello di una pizzeria o un esercizio commerciale, collocato al piano terreno di un fabbricato e che ha necessità di un sistema per l’evacuazione dei fumi) bisogna innanzitutto andare a leggere il regolamento condominiale e verificare che esso non lo vieti espressamente.

Se il regolamento non pone ostacoli, è possibile procedere all’installazione, anche qualora vi sia l’opposizione di alcuni condomini che temono un danno sulle vedute e invocano le norme sulle distanze fra proprietà. Infatti le norme sulle distanze previste dal codice civile [2] non possono essere invocate per impedire l’installazione di una canna fumaria in condominio. Anche se la canna altera la veduta che si può godere da un alloggio o un terrazzo, è diritto del proprietario dell’immobile costruirla.

 

La canna fumaria non deve essere ritenuta come una “costruzione” vera e propria, ma un semplice accessorio di un impianto. Per tale ragione, questo tipo di manufatto non è soggetto alla regola che fissa a 3 metri la distanza minima dal fondo del vicino. In altre parole, si può costruire la canna fumaria anche a una distanza ravvicinata rispetto agli stabili nelle vicinanze.

Ovviamente la canna fumaria può essere realizzata solo nel rispetto del decoro architettonico della facciata e del diritto di tutti i condomini di fruire del muro del fabbricato. In altre parole, essa non può impedire che anche altri condomini ne costruiscano una e non può alterare la destinazione della facciata.

Inoltre è sempre possibile, per qualunque condomino ne abbia necessità, installare una canna fumaria in aderenza al muro condominiale o a ridosso del lastrico. L’importante è non alterare la destinazione d’uso dello spazio comune, non impedire l’utilizzo (nel caso specifico del lastrico o della parete condominiale) ad altri condomini, non pregiudicare il decoro architettonico dell’immobile.

Infine, è bene sempre tenere presente che è necessario anche rispettare le norme del codice civile in materia di immissioni intollerabili [3]: i fumi emessi non devono infatti risultare nocivi alla salute e pregiudicare i diritti di proprietari e inquilini del palazzo. Se così fosse, il condomino potrebbe ottenerne l’abbattimento, oltre al risarcimento dell’eventuale danno.

In pratica

Se non vietata dal regolamento di condominio, la canna fumaria può essere costruita in ogni condomino, anche a meno di tre metri dalle costruzioni vicine e sempre che non pregiudichi il decoro architettonico della facciata e non crei delle immissioni intollerabili di fumo e di calore.

Vedi: Canna fumaria in condominio

 

Altezza della canna fumaria

La prima questione riguarda l'altezza alla quale dev'essere portata la canna fumaria.

Ce lo dice il d.p.r. n. 412/1993 e più nello specifico il comma 9 dell'art. 5, che recita:

Gli impianti termici siti negli edifici costituiti da più unità immobiliari devono essere collegati ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell'edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente, fatto salvo quanto previsto dal periodo seguente.
Qualora si installino generatori di calore a gas a condensazione che, per valori di prestazione energetica e di emissioni nei prodotti della combustione, appartengano alla classe ad alta efficienza energetica, più efficiente e meno inquinante, prevista dalla pertinente norma tecnica di prodotto UNI EN 297 e/o UNI EN 483 e/o UNI EN 15502, il posizionamento dei terminali di tiraggio avviene in conformità alla vigente norma tecnica UNI 7129 e successive integrazioni
.

Quindi la prima indicazione di massima ritraibile dalla norma è che la canna fumaria debba sempre essere portata sopra il tetto.

Rispetto alla formulazione originaria della norma, infatti, è sparito il riferimento alla deroga per gli impianti già esistenti alla data di entrata in vigore del D.P.R. e quindi per gli interventi di mera sostituzione.

Dispositivo dell'art. 880 Codice Civile


Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune [881] fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto [903].

Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi [881](1).

Note

(1) La presunzione opera solo nel caso di muri divisori tra gli edifici indicati nel secondo comma. L'elenco è tassativo e non è, quindi, passibile di interpretazione analogica (art. 12 delle preleggi).

Spiegazione dell'art. 880 Codice Civile

Presunzione legale di comunione dei muri divisori e suo fondamento

La prova dell'appartenenza dei muri divisori a confine delle proprietà potrebbe dar luogo nella pratica a notevoli difficoltà: infatti non basterebbe a provarne la proprietà il fatto che negli atti di acquisto il muro sia dichiarato appartenere a uno dei confinanti, poichè questa dichiarazione unilaterale non può esplicare nessuna efficacia nei confronti del vicino rimasto estraneo all'atto. Non basterebbe nemmeno il fatto della costruzione del muro da parte di uno dei due confinanti per attribuirgliene la proprietà, perché per il diritto di accessione la costruzione appartiene al proprietario del suolo (art. 934 del c.c.), ed è una cosa tutt'altro che fa­cile poter dimostrare con sicurezza la proprietà della striscia di suolo a confine, su cui il muro è stato costruito.

Per facilitare la prova della proprietà dei muri divisori a confine, il legislatore ha posto la presunzione legale di comunione dei muri divisori.

Come ogni presunzione, anche questa della comunione dei muri divisori si fonda su una probabilità, sull'id quod plerumque accidit. I due vicini hanno lo stesso interesse alla costruzione del muro che separa i loro fondi: fino a prova contraria, non è naturale supporre che essi abbiano costruito a spese comuni ? E la probabilità aumenta negli abitati in cui la contribuzione alla chiusura è obbligatoria (art. 886 e segg.). Se uno dei vicini ha fabbricato accanto all'altro, appoggiando allo stesso muro suo edificio, non è infatti probabile che egli abbia usufruito del diritto che la legge gli concede (artt. 874 e 875) di acquistarne la comunione? Il proprietario del muro non avrebbe certamente sopportato che il vicino appoggiasse l'edificio sopra un muro che non gli appartenesse: prima o poi (artt. 884 e 885) questi ha dovuto regolare la sua posizione di fronte al proprietario del muro, seguendo una doppia via: acquistare una servitù di appoggio o rendere comune il muro. Il legislatore presume la comunione, anche perché la cessione della comunione può essere forzosa (art. 874 del c.c.) mentre la concessione della servitù è solo volontaria e quindi ha una minore sfera di applicazione: tra le due la probabilità è maggiore per la comunione.

Da quanto ora detto risulta pienamente dimostrato il fondamento della presunzione legale stabilita dall'art. 880, nonché la sua evidente utilità. Ciò spiega perché, sulla traccia del codice francese, la maggior parte dei codici posteriori hanno sanzionato la presunzione legale della comunione dei muri divisori.

Se ne discosta invece il codice civile tedesco: il § 921 pone anch'esso una presunzione legale, ma invece di essere una presunzione legale di comproprietà è una presunzione di godimento comune: si presume solo che i due proprietari dei due fondi separati dal muro divisorio abbiano diritto di servirsi in comune dell'opera di confinazione in generale, che può essere un muro, un fosso, una siepe, ecc. Appare tuttavia preferibile il sistema tradizionale seguito dal nostro codice.


Trattasi di presunzione semplice che ammette la prova contraria

La presunzione stabilita dall'art. 880 è una presunzione semplice o iuris tantum. Ciò era detto esplicitamente dall'art. 546 codice del 1865 che poneva la presunzione di comunione « se non vi è titolo o segno in contrario ». La soppressione di tale esplicita menzione nell'art. 880 da una parte non toglie che anche nel nuovo codice si tratti di presunzione semplice che cede di fronte alla prova contraria; dall'altra, ha il vantaggio di togliere di mezzo parecchie questioni che ci si poneva sotto il precedente codice.

La presunzione di comunione cade di fronte alla prova dell'acquisto della proprietà esclusiva, che può essere tanto un modo di acquisto a titolo originario quanto a titolo derivativo. La prova di avere costruito il muro a proprie spese non può essere sufficiente a stabilire la proprietà esclusiva del muro perché la costruzione, accedendo al suolo, diventa proprietà del proprietario del suolo (art. 934 del c.c.).
Tra i modi di acquisto della proprietà esclusiva del muro divisorio tutti riconoscono potervi essere pure la prescrizione. Bisogna rilevare, peraltro, che l'acquisto della proprietà esclusiva del muro per prescrizione può avvenire raramente: infatti, perché si verifichi a vantaggio di un condomino la prescrizione acquisitiva della totalità del muro comune divisorio con perdita della comunione di esso da parte dell'altro condomino, è necessario che il primo eserciti il possesso esclusivo sul muro comune divisorio e che tale possesso sia manifestato con atti univoci in contrasto ed escludenti il compossesso dell'altro condomino. Non si perde certo il condominio, anche nel caso del suo non uso da parte di un condomino, senza il possesso esclusivo da parte dell'altro condomino.

Nell'art. 546 vecchio codice tra le prove contrarie alla presunzione di comunione si menzionava anche il segno. Ma il segno di cui si parlava in tale contesto va distinto dai segni (sporti, vani, piovente) di cui parlava allora l'art. 547 e oggi l' art. 881 del c.c.: infatti mentre questi sono segni che fanno presumere la proprietà esclusiva del muro divisorio, il segno di cui all'art. 546 valeva a far cadere la presunzione di comunione, ma non spingeva la sua efficacia fino al punto di far nascere una presunzione di proprietà esclusiva.

Fra i segni contrari alla presunzione legale di comunione può annoverarsi uno stemma gentilizio sormontante il muro e appartenente a uno dei due confinanti, oppure la struttura e architettura del muro divisorio corrispondenti al restante fabbricato che si trova da una parte e non dall'altra. Nella Relazione della Commissione reale si cita un caso del genere: in una villa costruita secondo un determinato stile, se il muro che la circonda è costruito secondo il medesimo stile, è evidente che è stato costruito da chi costruì la villa, e che quindi gli appartiene. In questi casi, peraltro, non trattandosi di valutare se e fino a che punto tali segni possano valere come prova contraria alla presunzione legale della comunione del muro stabilita dall'art. 880.


Comunione pro indiviso

Superando antiche discussioni, la dottrina è oggi concorde nell'ammettere che la presunzione dei muri divisori sia di comunione pro indiviso. Ciò è confermato da varie disposizioni del codice, come quella che pone in comune le spese di costruzione e riparazione del muro (art. 882 del c.c.) senza distinguere da quale parte esse debbano farsi, ed altre che permettono l'immissione nel muro comune di opere oltrepassanti la metà dello spessore (art. 884 del c.c.) e la sopraelevazione del medesimo (art. 885 del c.c.), e la stessa giurisprudenza giurisprudenza conferma la natura pro indiviso.

Quest’ultima ha deciso peraltro che per ciò che riguarda la superficie frontale esterna (testata del muro) in relazione alle opere materiali decorative e di sporto, il muro divisorio deve considerarsi come esattamente diviso
da una linea verticale corrispondente alla mediana del muro, di modo che ognuno dei confinanti eserciti i suoi diritti sulla parte corrispondente al proprio edificio, come se si trattasse di due muri autonomi combacianti, ossia di comunione pro diviso.


Come deve intendersi la locuzione « muro »

La disposizione legislativa in esame parla di « muro che serve di divisione »: si è molto discusso su cosa si debba intendere per muro. Alcuni ne allargano tanto il significato da comprendervi anche un tavolato, ma non sembra che il significato della parola autorizzi una simile estensione. Altri, al contrario, la vorrebbero restringere tanto da escluderne i muri a secco: ma anche tale esclusione risulta eccessiva, soprattutto perché in alcune località l'uso dei muri a secco per dividere cortili o giardini è molto diffuso e può considerarsi addirittura normale per dividere i recinti nei campi.


Carattere tassativo e non esemplificativo dell’elencazione contenuta nell’art. 880

La presunzione di comunione è limitata dalla legge ai muri divisori tra cortili, giardini, orti e recinti nei campi. Questa elencazione deve intendersi come tassativa e non semplicemente esemplificativa: si tratta, infatti, di una presunzione legale e quindi di una deroga speciale alle norme generali sulle prove, che non può essere estesa oltre i casi contemplati dalla legge. Ne consegue che se il muro fosse divisorio tra fondi diversi da quelli indicati dall'art. 880 la presunzione legale di comunione non sarebbe ammessa. Così avverrebbe , ad es., nel caso di un muro divisorio tra due fondi aperti posti in campagna, o0 tra un edificio ed un cortile o giardino, ecc.


Muri divisori tra edifici

Passiamo ora all'esame dei vari casi previsti nell'art. 880, e cominciamo dai muri divisori fra edifici. II muro che serve di divisione fra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze diverse, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.

La semplice esistenza di tubi di camino sporgenti sopra il tetto dell’edificio più basso e appoggiati al muro dell'edificio più alto non basta a far presumere la comunione del muro anche nella parte superiore: infatti potrebbe trattarsi di una semplice servitù di appoggio. E la stessa soluzione devee adottarsi anche se i tubi di camino del proprietario dell'edificio più basso, invece di essere appoggiati, fossero addirittura scavati nel muro: infatti qualora il tubo di camino preesistesse nel muro comune inferiore e questo fosse stato in seguito sopraelevato dal condomino, il prolungamento del tubo entro il muro sopraelevato farebbe carico al condomino che sopraeleva, pur acquistando egli la proprietà esclusiva della sopraelevazione (art. 884 del c.c.).

Accade talora che il muro divisorio si sopraelevi al di sopra dei tetti dei lastrici solari: in questo caso, se gli edifici sono di altezza disuguale non può sorgere alcun dubbio sul fatto che la sopraelevazione appartenga in proprietà esclusiva al proprietario dell'edificio più alto, così come a lui appartiene il tratto di muro che sovrasta al tetto dell’edificio più basso. Se poi gli edifici sono di eguale altezza, la presunzione dell’art. 880 si estende a tutto il muro sino alla sommità, poiché si è di fronte a un muro che divide due edifici.

La presunzione di comunione di un muro che sia solo divisorio tra due edifici ricorre solo per il tratto in cui muro è divisorio, e non vale per il rimanente tratto in cui non sussiste la specifica funzione su cui la presunzione stessa è fondata.


Quid iuris del muro divisorio con preesistente edificio poi demolito

Tutti sono d'accordo nel ritenere che il muro esterno di un edificio debba presumersi comune col proprietario dell'area limitrofa, se esistono segnali dell'esistenza di un precedente edificio vicino, poi demolito. Ci si chiede, peraltro, se si debba limitare all'esistenza delle vestigia dell'edificio preesistente la prova del carattere divisorio del muro, e se, quando con qualunque mezzo si provi che il muro separava originariamente due edifici, sorge o meno la presunzione legale di comunione da distruggersi con la prova contraria.

L'esistenza di vestigia del preesistente edificio non impedisce al proprietario dell'edificio rimasto in piedi la possibilità di acquistare per prescrizione la proprietà esclusiva del muro, tuttavia è discusso se per tale usucapione sia necessaria l'interversione del possesso. La risposta è affermativa, perché in mancanza di interversione non può dirsi che il proprietario dell'edificio goda di un possesso esclusivo, permanendo il compossesso preesistente, sia pure presunto, ed essendo facoltativo nel vicino proprietario dell'edificio demolito l'esercizio dei diritti derivanti dal condominio (diritto di appoggio ecc.) e quindi esperibile senza limitazione di tempo.

La presunzione di comproprietà posta dall'art. 880 si riferisce ai muri divisori tra edifici: essa pertanto non si applica al muro perimetrale di un preesistente edificio, poi demolito. Tale muro perimetrale è proprietà esclusiva del proprietario dell'edificio demolito, e questo carattere originario di appartenenza esclusiva non può subire modificazioni per il solo fatto che, a seguito della demolizione dell'antico fabbricato e dello stesso eseguito nell'area da esso occupata, l'antico muro perimetrale sia venuto ad assumere posteriormente la funzione di muro divisorio e di sostegno del giardino adiacente. Infatti la presunzione di comunione, che rispetto ai muri di confine sorge dalla loro speciale destinazione, funziona soltanto in mancanza di titolo, e non può avere quindi l'efficacia di trasformare o modificare i diritti da questo derivanti.


La presunzione di comunione vale anche pei muri divisori tra edifici privati e edifici demaniali

Agli effetti dell'art. 880 non ha importanza né il luogo ove gli edifici sono situati nè la loro destinazione: quindi è indifferente ad es. che siano in città o in campagna, se uno serve di abitazione e l'altro per opificio.

Qualche dubbio è sorto circa l'applicabilità dell'art. 880 ai muri divisori tra un edificio privato e un altro demaniale: alcuni hanno risposto negativamente argomentando sulla base della esenzione degli edifici demaniali dalla cessione coattiva (art. 879 del c.c.). In senso contrario, tuttavia, va osservato che la presunzione di comunione dei muri divisori tra edifici si fonda sul fatto che l'uno e l'altro edificio si servono in comune del muro divisorio, e ciò vale senza che vi sia ragione di distinguere tra edifici privati ed edifici pubblici. Va inoltre aggiunto che la disposizione dell'art. 556 capov. vecchio codice e dell’ attuale art. 880 esclude che la comunione presunta possa essere sorta per cessione forzosa del muro dell'edificio demaniale, ma non esclude che la comunione possa sorgere per la cessione forzosa del preesistente muro dell'edificio privato chiesta dal demanio per la costruzione dell'erigendo edificio demaniale, poichè l'eccezione di cui all'art. 556 capov. vecchio codice, e 880 del nuovo, è stata dettata a favore e non contro gli edifici demaniali.

La Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi per la soluzione affermativa statuendo che il proprietario di un vano terraneo che da molto tempo è addossato al muro esterno di una chiesa può, in mancanza di titolo o di segno contrario, invocare la presunzione di comunione del muro.


Muri divisori tra cortili, giardini e orti

Secondo l'art. 880 si presume comune anche il muro che serve di divisione « tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi ». Va anzitutto sottolineato che il nuovo codice estende la presunzione di comunione anche ai muri divisori tra gli orti, non menzionati invece dal corrispondente art. 546 vecchio codice: si è risolta così la questione se la disposizione dell'art. 546 dovesse estendersi anche agli orti.

Resta però anche nel nuovo codice la domanda che ci si faceva prima, e cioè se il muro, per presumersi comune, debba dividere cortile da cortile e giardino da giardino, oppure basti che divida un cortile da un giardino: quanto ai muri divisori tra giardini ed orti la locuzione è comprensiva di entrambe le ipotesi.

La soluzione restrittiva, che vorrebbe escludere la presunzione per i muri divisori tra giardini e cortili, si fonda su due argomenti: in primo luogo, sul fatto che si tratta di una disposizione di diritto speciale e quindi di stretta applicazione; in secondo luogo, manca la ragione per fare un diverso trattamento ai muri divisori tra cortili e giardini, quando relativamente agli edifici e ai recinti nei campi non vi è dubbio che la presunzione legale di c-munione ha luogo solo per i muri divisori tra edifici ed edifici, tra recinti e recinti.

Ma è facile osservare, in senso contrario, che quanto al primo argomento si fa la solita confusione fra interpretazione estensiva ed analogica: nelle disposizioni di diritto speciale è esclusa l'interpretazione analogica, ma sarebbe errato escludere ogni interpretazione estensiva. Nemmeno il secondo argomento appare fondato: la ragione del diverso trattamento vi è, e consiste nel fondamento stesso della presunzione di comunione, che è l’utilità reciproca dei confinanti. Trattandosi di edifici, come di recinti nei campi, l'utilità non sarebbe adeguatamente reciproca se il muro dividesse un edificio da un cortile, o un recinto da un campo aperto: infatti l’utilità del muro si dimostrerebbe quasi esclusiva, o di gran lunga maggiore, per il proprietario dell'edificio o del recinto. Invece nel caso di muri divisori tra cortili e giardini, l'utilità è reciproca e come tale giustifica la presunzione di comunione.


Recinti nei campi

La giurisprudenza francese anteriore al codice escludeva la presunzione di comunione riguardo ai muri che separano poderi campestri: i compilatori del codice francese vollero estendere la presunzione anche a questo caso, sotto la condizione, però che si trattasse di recinti. Di qui l'aggiunta dell'art. 653 codice francese « et meme entre enclos dans les champs », passata attraverso tutti i codici italiani preesistenti, nell'art. 546 codice del 1865 e nel nuovo codice. Nel Progetto della Commissione reale (art. 69) si era pensato di togliere il requisito della recinzione, parlandosi semplicemente di campi, ma nel testo definitivo si è ritornati alla locuzione tradizionale.
Recinto è un luogo chiuso tutto intorno: affinchè dunque la presunzione possa sorgere è necessario che i due campi limitrofi siano entrambi chiusi. Infatti, se uno fosse recintato e l'altro no, verrebbe meno la presunzione di comunione del muro divisorio perché verrebbe a mancare l'uguale utilità su cui la presunzione si fonda, potendo il muro divisorio giovare alla recinzione del campo recinto e non allo stesso modo al campo aperto dagli altri lati.

Una dibattuta questione riguardava come determinare la natura della recinzione. Certo che trovandoci in materia di muri divisori, quello che divide i due campi dev'essere un muro, ma dalle altre parti la chiusura dovrà consistere allo stesso modo in muri o basteranno le siepi vive, o anche semplici siepi morte, palizzate e simili? Si ritiene preferibile quest'ultima opinione, poiché, essendo richiesta come unica condizione la recinzione, in qualunque modo questa si ottenga si soddisfa quanto richiesto dalla legge. La natura e la destinazione dei campi non ha alcuna importanza agli effetti della presunzione della comunione.


Muri di sostegno

Poiché l'art. 880 parla di muri divisori, la presunzione legale di comproprietà non può estendersi ai muri di sostegno, che il proprietario del fondo superiore costruisce sul proprio suolo allo scopo di sostenere il suo terreno e impedire che frani sul fondo inferiore. Di regola, quindi, il muro di sostegno appartiene in esclusiva proprietà al proprietario del fondo superiore, sia che si elevi sino al livello del fondo, sia che si sopraelevi sul medesimo. Però se nel primo caso non sorge alcun dubbio, nel caso invece in cui il muro di sostegno si sopraelevi sul fondo superiore la dottrina è in disaccordo.

Secondo alcuni, la sopraelevazione farebbe mutare destinazione e natura al muro, che da muro di sostegno si trasformerebbe in muro divisorio, a cui si dovrebbe quindi applicare, in tutto o in parte, la presunzione di comunione dell'art. 880. Gli autori francesi presumono la comunione del muro dalle fondamenta alla sommità: da noi alcuni giuristi, argomentando dall'art. 560 codice del 1865 corrispondente all'art. 887 del nuovo codice, attribuiscono al proprietario del fondo superiore la parte del muro che va dalle fondazioni sino al livello del fondo più alto, e per la rimanente parte presumono la comunione.

Preferibile è, invece, la tesi intermedia. Come regola generale si mantiene quella secondo cui il muro di sostegno, anche quando si sopraeleva sul livello del fondo superiore, appartiene in esclusiva proprietà al proprietario di esso. Limitatamente poi agli abitati, a mente dell’'art. 887, è accettabile la teoria per cui, rifacendosi all'istituto della chiusura obbligatoria ai sensi degli artt. 886 e 887, e dovendosi fare quest’ultima tra i fondi in dislivello (887), pare ragionevole presumere, fino a prova contraria, che i due proprietari limitrofi si siano attenuti, nella costruzione del muro, alla discriminazione di cui all’art. 887.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

421 Un secondo gruppo di norme (articoli 880-885) riguarda le presunzioni di appartenenza dei muri divisori e il regime dei muri comuni. In conformità del codice del 1865 (articoli 546-547), il nuovo codice (art. 880 del c.c. e art. 881 del c.c.) stabilisce due presunzioni, suscettibili di prova contraria: da un lato, la presunzione di comunione così per il muro che serve di divisione tra edifici (presunzione che, in caso di altezze ineguali degli edifici, è limitata al punto in cui uno di questi comincia ad essere più alto), come per il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi; dall'altro lato, la presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio tra campi, cortili, giardini od orti, sulla base della posizione del piovente esistente nel muro e, ove questo manchi, di altri segni particolarmente qualificati. Circa i diritti e gli obblighi di ciascun condomino rispetto al muro comune, non ho apportato innovazioni rilevanti (art. 882 del c.c., art. 883 del c.c. e art. 884 del c.c.). Una disposizione integrativa ho però introdotta in tema d'innalzamento del muro comune. Come per il codice del 1865 (art. 554), il comproprietario che vuole eseguire la sopraelevazione, quando occorre aumentare lo spessore del muro per renderlo atto a sostenere il nuovo peso, deve costruire sul suolo proprio per il maggiore spessore che si renda necessario. Senonché può darsi che esigenze tecniche impongano di costruire sul suolo del vicino: in tal caso si autorizza la costruzione sul fondo finitimo per una doverosa tutela dell'interesse pubblico all'incremento edilizio. Il muro così ingrossato, resta di proprietà comune, ma il vicino ha diritto di conseguire il valore della metà del suolo occupato per il maggior spessore (art. 885 del c.c.).

Massime relative all'art. 880 Codice Civile

Cass. civ. n. 22275/2013

L'accertata funzione divisoria di un muro di recinzione esistente tra le confinanti proprietà costituisce, ai fini della tutela possessoria dello stesso, prova presuntiva del suo compossesso.

Cass. civ. n. 5261/2006

In tema di presunzione di comunione del muro divisorio tra edifici prevista dall'art. 880 c.c., i limiti di operatività di detta presunzione sono determinati dallo stesso articolo (secondo periodo del primo comma) facendo espresso riferimento «al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto» nel senso che, in ipotesi che uno dei due edifici sia più alto rispetto all'altro, la presunzione suddetta opera sino al punto in cui le altezze dei due edifici combaciano. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito per difetto di motivazione, per non avere la stessa considerato che il resistente aveva inserito le travi di sostegno di una sua tettoia nella parte più alta del muro divisorio, dove questo proseguiva per cingere soltanto la fabbrica dell'edificio dei ricorrenti).

Cass. civ. n. 6678/1999

Un muro di recinzione di un fondo si presume comune al proprietario di quello limitrofo se: 1) sorge su suolo comune ad entrambi i confinanti proprietari; 2) divide, conformemente alla sua funzione, entità prediali omogenee tra loro (quali edifici, cortili, etc.), appartenenti a diversi proprietari; 3) mancano sporti e simili o altri elementi contrari, indicati dall'art. 881 c.c.

Cass. civ. n. 5115/1998

L'intercapedine, sotterranea o non, non può presumersi di proprietà comune (come il muro divisorio, ex art. 880 c.c.) per il solo fatto di essere realizzata sul confine, essendo costituita da uno spazio vuoto e non pieno (a differenza del muro), cosi che essa (purché di dimensioni apprezzabili per essere definita tale) va considerata parte dell'una o dell'altra proprietà frontistante (ovvero di entrambe, a seconda dell'andamento della linea di confine che le separi), in considerazione della sua attuale funzione e della finalità originariamente riservatele da chi ebbe a realizzarla, secondo le sue caratteristiche oggettive, potendo in relazione ad essa configurarsi, di volta in volta (e ricorrendone i presupposti), un vincolo pertinenziale ovvero un asservimento di fondi reciproco ed incrociato.

Cass. civ. n. 11162/1994

La presunzione di comunione del muro divisorio, stabilita dall'art. 880 c.c. ha carattere relativo e spiega la sua piena operatività - sino a rendere irrilevante nel caso di muro di separazione fra due edifici l'eventuale anteriorità di uno di questi rispetto all'altro - soltanto in mancanza di prova contraria, non operando invece quando risulti altrimenti che il muro rientra nel dominio esclusivo di uno dei due confinanti in forza di uno qualunque dei modi di acquisto, a titolo originario o derivativo, della proprietà immobiliare. Pertanto, poiché tra i modi di acquisto della proprietà si annovera l'accessione, a norma dell'art. 934 c.c., la presunzione anzidetta è vinta anche dall'accertamento che il muro è stato costruito nella sua interezza su una sola delle aree contigue, salvi gli effetti di un titolo pattizio successivamente intervenuto ovvero dell'usucapione.

Cass. civ. n. 9137/1993

La presunzione di comunione prevista dall'art. 880 c.c. riguarda soltanto il muro divisorio e non anche íl muro di contenimento tra fondi a dislivello, il quale non si elevi in altezza al di sopra del livello del fondo sovrastante.

Cass. civ. n. 1220/1993

La presunzione di cui all'art. 880 c.c., è invocabile ogni qual volta un'unica struttura divisoria separi entità fondiarie finitime appartenenti a proprietari diversi; pertanto essa ricorre, per il solo fatto che tale struttura assolva in concreto alla funzione di distinguere e dividere proprietà limitrofe, mentre non rileva, agli stessi fini, che essa abbia origine naturale o sia dovuta all'opera dell'uomo.

Cass. civ. n. 177/1993

La presunzione iuris tantum di comunione prevista dall'art. 880 c.c. relativamente a muri che separano entità prediali omogenee è vinta dalla prova della proprietà esclusiva del muro mediante riferimento ad uno dei modi di acquisto della proprietà originario o derivato. In mancanza di prova contraria la presunzione di comunione spiega piena operatività, non valendo contro di essa neppure l'eventuale anteriorità di una delle due costruzioni separate, potendo sovvenire ai fini dell'acquisto della proprietà esclusiva solo il principio dell'accessione (art. 934 c.c.) sempre che il muro sia stato costruito completamente sul suolo appartenente ad uno dei confinanti.

Cass. civ. n. 1348/1990

La presunzione di comproprietà di un muro divisorio, a norma dell'art. 880 c.c. fondandosi su uno stato di fatto, qual è l'esistenza di due edifici confinanti divisi da un muro di eguale utilità per l'uno e l'altro, comporta, in mancanza di prova contraria, la presunzione anche del compossesso del muro stesso, in considerazione dell'utilità che esso fornisce ad entrambi gli immobili, sicché in funzione dell'eccezione feci sed iure feci può spiegare rilevanza nel giudizio possessorio che abbia oggetto la tutela del detto manufatto.

Cass. civ. n. 796/1989

La presunzione di comunione del muro di cui all'art. 880 c.c. — appartenente alla categoria delle presunzioni legali iuris tantum — presuppone l'esistenza certa di due fatti, che non possono essere a loro volta oggetto di presunzione, per il divieto della presumptio de presumpto, e cioè che si tratti di muro divisorio e che esso abbia la funzione di dividere edifici, cortili, giardini, orti o recinti nei campi, con la conseguenza che, ove sorga controversia sulla comunione di un muro (asserito divisorio dalla parte che sostiene l'esistenza della comunione al fine di far dichiarare illegittima l'apertura di una luce ad opera del confinante) la presunzione deve ritenersi operante (con conseguente onere della controparte di provare la sua proprietà esclusiva) soltanto se è pacifica e comunque dimostrata l'esistenza dei due suddetti presupposti di fatto, mentre, in difetto, incombe alla parte che assume l'esistenza della comunione di provare la stessa.

Cass. civ. n. 6539/1985

La presunzione di comunione del muro divisorio prevista dalla norma dell'art. 880 c.c., riguarda soltanto il muro che divide entità prediali omogenee (edificio da edificio, cortile da cortile, orto da orto), e non è, quindi, operante quando trattisi di entità prediali diverse. Pertanto, detta presunzione non sussiste rispetto alla parte di muro che divide un edificio da un cortile interno di altro edificio contiguo, neppure nel caso in cui i corpi di fabbrica di quest'ultimo che circolano il cortile, si appoggiano ad altri tratti del muro stesso e debba presumersi che per tali tratti il muro sia comune.

Cass. civ. n. 4719/1977

La presunzione di comunione del muro divisorio, prevista dall'art. 880 c.c., postula l'analoga natura degli immobili confinanti (edifici, cortili, orti ecc.), ma non anche l'omogeneità della loro materiale struttura. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente affermata dai giudici del merito l'operatività di detta presunzione, con riguardo al muro divisorio fra un fabbricato in muratura ed un capannone realizzato in legno e lamiere, ma con caratteristiche di solidità e stabilità).


















 

Alterazione del decoro architettonico

Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione.

(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittima l’installazione di una canna fumaria che percorreva tutta la facciata dell’edificio condominiale, così da pregiudicare l’aspetto e l’armonia del fabbricato).

Cassazione civile sez. II, 11/05/2011, n.10350

 

Modifica del prospetto del fabbricato

L’installazione di una canna fumaria è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 comma 1 lett. d ), d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c ), dello stesso d.P.R., laddove comporti, come nella fattispecie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce.

T.A.R. Napoli, (Campania) sez. VIII, 01/10/2012, n.4005

 

 CANNE FUMARIE :SOMMARIO

:a) Concessione edilizia; b) Decoro architettonico; c) Immissioni e molestia alle persone; d) Inserimento nel lastrico solare; e) Inserimento nel muro comune; f) Mancato controllo della canna fumaria; g) Ostruzione; h) Proprietà; i)Rimozione; l) Riparazione; m) Servitù; n) Sostituzione

 

.a)Concessione ediliziaI lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano «funzionalmente» un’opera preesistente, richiedono la concessione edilizia.* Cass. pen.,sez. III, 25 ottobre 1988, n. 10396 (ud. 9 febbraio 1988), Amatori.b) Decoro architettonicoCostituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittima l’installazione di una canna fumaria che percorreva tutta la facciata dell’edificio condominiale, così da pregiudicare l’aspetto e l’armonia del fabbricato).* Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2011, n. 10350, Panciroli c. Zanin ed altri.c) Immissioni e molestia alle personeTra la domanda per il rispetto della distanza legale ex art. 890 c.c. tra il confine e alcuni manufatti, tra cui una canna fumaria eretta sul fondo finitimo, e quella ex art. 844 c.c., relativa alle immissioni intollerabili provenienti dalla suddetta canna non esiste connessione per accessorietà ai sensi dell’art. 31 c.p.c., a meno che l’attore non deduca l’esistenza di un nesso causale tra la posizione della canna fumaria e l’intollerabilità delle immissioni e mancando, tra le due azioni, un’apprezzabile differenza in termini di maggiore o minore rilevanza del loro rispettivo contenuto. (In applicazione del riportato principio la S.C., in sede di regolamento di competenza, ha dichiarato competente il giudice di pace in relazione alla domanda di cessazione delle immissioni di fumo e vapori, così rigettando il ricorso con cui era stato impugnato il provvedimento emesso dal tribunale dinanzi al quale erano state proposte tutte le sopra indicate istanze).* Cass. civ., sez. VI, 14 ottobre 2011, n. 21261, Faccaro c. Cuccurullo ed altri.In tema di inquinamento atmosferico, è configurabile il reato di cui all’art. 674 c.p. (emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone) anche nel caso in cui le emissioni provengano da un impianto non conforme alla normativa sull’abbattimento dei fumi emessi dalla canna fumaria di una caldaia a metano per riscaldamento (D.M. 21 marzo 1993), quando il disturbo concretamente arrecato alle persone superi la normale tollerabilità con conseguente pericolo per la salute pubblica.* Cass. pen., sez. III, 28 settembre 2007, n. 35730 (ud. 19 giugno 2007), Bodrato.In tema di getto pericoloso di cose, nel caso di emissioni di fumi, gas o vapori atti ad offendere o molestare le persone, la prova del superamento del limite di tollerabilità deve essere determinato di volta in volta dal giudice, anche mediante dichiarazioni testimoniali, con riguardo sia alle condizioni dei luoghi e alle attività normalmente svolte in un determinato contesto produttivo sia al sistema di vita e alle correnti abitudini della popolazione nell’attuale momento storico. (Fattispecie nella quale l’emissione di fumi, promananti dalla canna fumaria e prodotti dall’impianto di riscaldamento dell’imputato, investiva l’abitazione di alcuni vicini di casa provocando loro molestia).* Cass. pen., sez. III, 16 ottobre 2007, n. 38073 (ud. 21 settembre 2007), Salleo Puntillo.Il reato di cui all’art. 674 c.p. (emissione di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone) è configurabile quando tali emissioni siano conseguenza di un’attività non conforme alla normativa ed arrechino concretamente disturbo alle persone superando la normale tollerabilità con conseguente pericolo per la salute pubblica, la cui tutela costituisce la ratio dell’incriminazione(Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto sussistente il reato a carico del titolare di una pizzeria che svolgeva la propria attività con modalità non conformi alla disciplina sull’abbattimento dei fumi emessi dalla canna fumaria).* Cass. pen., sez. III, 22 dicembre 2006, n. 42213 (ud. 6 dicembre 2006), Parziale e altro.

In tema di omicidio colposo, premesso che è onere del proprietario consegnare all’affittuario dell’appartamento un impianto di riscaldamento revisionato, in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali, il proprietario dell’immobile è responsabile del reato di omicidio colposo, in relazione al decesso dell’inquilino conseguente ad esalazioni di monossido di carbonio provenienti dallo scaldabagno(Nella specie, era stato accertato che l’imputato aveva dato l’immobile in locazione senza prima avere verificato la funzionalità dell’impianto a gas, risultato in pessimo stato di conservazione, con conseguente eccessiva produzione di monossido di carbonio, che non veniva smaltita dal canale di fumo e dalla canna fumaria, strumenti pure in condizioni carenti).* Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 2005, n. 38818 (ud. 4 maggio 2005 ), De Bona.L’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c. è esperibile anche a difesa del possesso da immissioni di fumi pregiudizievoli derivanti da canna fumaria dei vicini.* Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2005, n. 11382, Sinibaldi ed altro c. Rosi ed altro.d) Inserimento nel lastrico solareIl condomino che inserisca la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione, con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto, considerato del tutto legittimo se, trattandosi dell’occupazione di una zona periferica di una parte del tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi che la predetta utilizzazione menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri comproprietari.* Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1992, n. 2774, Cenci c. Cenci.Il condomino che inserisce una canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandola stabilmente con opere murarie al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione della cosa comunenon consentita dall’art. 1102 cod. civ. atteso che a differenza dell’installazione di canne fumarie nei muri perimetrali, che non ne altera la principale funzione, la collocazione di canne fumarie nel lastrico solare comporta una sottrazione della relativa porzione di bene comune all’uso degli altri condomini con limitazione della utilizzazione del piano dicalpestio e la compromissione della sua funzione di copertura.* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1987, n. 4201, Dispoto c. Cond. Via Omodeo.e) Inserimento nel muro comuneUna canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro perimetrale in condominio, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a servire esclusivamente l’appartamento cui afferisce.* Cass. civ., 17 maggio 1967, n. 1033.Costituisce pregiudizio al concorrente diritto degli altri condomini, di utilizzare in modo conveniente il muro comune, la installazione in esso di una canna fumaria che, per le sue dimensioni oper la sua ubicazione, riduca in modo apprezzabile la visuale di cui tali condomini godono dalle finestre site nello stesso muro.* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1977, n. 620.In tema di condominio negli edifici, l’appoggio al muro perimetrale comune di una canna fumaria costituisce una modifica conforme alla destinazione della cosa comune, che ciascun condomino può legittimamente apportare a sue cure e spese, purché tale intervento non impedisca l’altrui pari uso, non arrechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio e non alteri il decoro architettonico a causa del riflesso negativo della nuova opera sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile.* Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2000, n. 6341, Zampieri c. Meneguzzo ed altri, in Arch. loc. e cond. 2000, 575.L’uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c. dal quale esula ogni utilizzazione che si risolva in un’imposizione di limitazioni o pesi sul bene comune presuppone, perché non si configuri come illegittimo, che non ne risultino impedito l’altrui paritario uso né modificata la destinazione né arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Ne consegue che l’inserimento di una canna fumaria all’interno del muro comune costituente anche muro di delimitazione della proprietà individuale ad esclusivo servizio del proprio immobile non può considerarsi utilizzazione in termini di mero «appoggio» della stessa al muro comune, secondo quello che, a determinate condizioni, può costituire uso consentito del bene comune ai sensi della norma in questione, stante il suo peculiare carattere di invasività della proprietà altrui (qual è anche quella non esclusiva bensì comune), anche sotto i meri profili delle immissioni di calore e della limitazione rispetto ad altre possibili e diverse utilizzazioni della cosa che ne derivano.* Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2004, n. 8852, Ginesi c. Morelli ed altro, in Arch. loc. e cond. 2004 e in Arch. loc. e cond. 2004, 559, con nota di Maurizio de Tilla.f) Mancato controllo della canna fumariaLa responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (art. 40, comma secondo, c.p.) per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo: detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo deldiritto, e quindi anche dal diritto privato, e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata com’è nel rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio di un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava parti comuni dell’edificio).* Cass. pen., sez. IV, 13 ottobre 2009, n. 39959 (ud. 23 settembre 2009), Gilardi.In tema di delitto colposo l’indagine sulla sussistenza della causalità si restringe all’analisi del rapporto tra le varie cause al fine di stabilire se quelle prossime siano fatti eccezionali ed atipici del tutto avulsi dalla serie causale precedente ovvero si innestino in questa, costituendone la naturale via di sviluppo. Neconsegue che colui che installa in una abitazione uno scaldabagno alimentato a gas metano ha il dovere di accertare non solo in osservanza di quanto disposto dalla normativa vigente che, ancorché specifica, ben può essere insufficiente a garantire la piena sicurezza dell’opera installata, ma anche in osservanza delle regole di prudenza, perizia e diligenza che la relativa canna fumaria non sia ostruita e consenta un buon tiraggio, senza rigurgiti dei prodotti di combustione tali da costituire un pericolo per l’incolumità personale degli utenti. L’osservanza di tale dovere prescinde dall’evenienza che l’impianto di smaltimento sia realizzato al momento dell’installazione ovvero preesista in quanto, prima di porre in attività l’apparecchiatura, deve essere accertata l’idoneità funzionale e l’assenza di condizioni foriere di danno per le persone. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l’omissione del controllo della canna fumaria da parte dell’imputato abbia determinato l’antecedente causale dell’evento letale, ovverosia il decesso degli occupanti l’appartamento per asfissia da monossido di carbonio).* Cass. pen., sez. IV, 6 settembre 2007, n. 34115 (ud. 13 giugno 2007), P.G. in proc. Celesia. (Mass.redaz.), in Riv. pen. 2007, 1109.g) OstruzioneL’installatore di uno scaldabagno alimentato a gas metano risponde per colpa della morte dell’utente conseguita al cattivo funzionamento della canna fumaria, ancorchè preesistente, della quale al momento dell’installazione egli non abbia verificato appieno la funzionalità, se non nei limiti impostigli dalla normativa vigente, in quanto la peculiarità del lavoro affidatogli e la pericolosità dell’opera oggetto del medesimo impediscono di ritenere circoscrivibile alla mera indicazione normativa la condotta necessariamente prudenziale e diligente che egli deve osservare, essendogli invece imposto di porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare eventi dannosi prevedibili.* Cass. pen., sez. IV, 6 settembre 2007, n. 34115 (ud. 13 giugno 2007 ), P.G. in proc. Celesia.Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose consiste in qualsiasi fatto con il quale si incide sulla cosa, distruggendola, deteriorandola, trasformandone o limitandone la particolare funzione o mutandone la destinazione. (Fattispecie di reato integrato dalla ostruzione della canna fumaria).* Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 1980, n. 647 (ud. 14 novembre 1979), Maiorino.h) ProprietàIn tema di condominio, nel caso in cui un condomino utilizzi la canna fumaria dell’impianto centrale di riscaldamento nella specie per lo scarico dei fumi da una pizzeria dopo che questo sia stato disattivato dal condominio, sussiste violazione dell’articolo 1102 c.c., trattandosi non di uso frazionato della cosa comune, bensìdella sua esclusiva appropriazione e definitiva sottrazione alle possibilità di godimento collettivo, nei termini funzionali praticati, per legittimare le quali è necessario il consenso negoziale (espresso in forma scritta ad substantiam) di tutti i condomini.* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 2008, n. 26737, Cond. Via Maggini 57, Ancona c. Gz Imm. Srl ed altri.Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a servire esclusivamente l’appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione.* Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1991, n. 9231, Battista ed altro c. Signorelli ed altro.La canna fumaria è soggetta alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. e deve, quindi, ove il contrario non risulti dal titolo, ritenersi comune e la circostanza che la canna inizi da un determinato appartamento è irrilevante e non può giustificare la pretesa del proprietario dell’appartamento stesso di un acquisto per accessione.* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.i) RimozioneIn tema di condominio negli edifici, qualora il proprietario di un’unità immobiliare del piano attico agisca in giudizio per ottenere l’ordine di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro condominiale e a ridosso del suo terrazzo, la liceità dell’opera, realizzata da altro condomino, deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non rilevando, viceversa, la disciplina dettata dall’art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la canna fumaria (nella specie, un tubo in metallo) non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, forno di pizzeria).* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2012, n. 2741, Chillon ed altri c. Morelli ed altri.l) RiparazioneLa riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante immissione di un tubo in eternit) non è consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.m) ServitùLa riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante immissione di un tubo in eternit) non è consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.n) SostituzioneÈ consentito sostituire una vecchia canna fumaria in metallo, comune a due edifici in condominio, distinti e contigui, alla quale erano collegate le caldaie delle lavanderie dei due stabili, con una nuova canna in eternit collegata all’impianto di riscaldamento di uno soltanto dei suddetti fabbricati, alla condizione, però, che sia possibile all’altro condominio di servirsi dellanuova canna collegandovi il proprio impianto.* Cass. civ., 21 maggio 1976, n. 1836.In tema di condominio, nel caso in cui i condomini abbiano deciso a maggioranza, ai sensi dell’articolo 26 della legge 9 gennaio 1991 n. 10 e del relativo regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. 26 agosto 1993 n. 412, la dismissione dell’impianto di riscaldamento centralizzato e la sua sostituzione con autonomi impianti, non è più consentito alla minoranza dissenziente di mantenere in esercizio il vecchio impianto, ed è obbligatorio per tutti i condomini partecipare proporzionalmente alle spese per l’installazione e manutenzione della nuova canna fumaria, che in quanto posta a servizio dei singoli impianti di riscaldamento, costituisce bene comune cui tutti in condomini sono tenuti ad allacciare il proprio. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza della corte di merito che, nell’ipotesi suddetta, facendo applicazione dell’art. 5, comma nono, D.P.R. nr. 412 del 1993, prevedente il diverso caso della ristrutturazione di impianti individuali già esistenti con scarichi non a norma, aveva ritenuto gravare le spese della nuova canna fumaria soltanto a carico dei condomini che avevano installato un autonomo impianto di riscaldamento).* Cass. civ., sez. II, 21 novembre 2008, n. 27822, Cond. Via Putignani 263, Bari c. Campanile ed altri.In tema di condominio, è legittima la soppressione dell’impianto centralizzato di riscaldamento deliberata con la maggioranza prevista dall’art. 26 della legge n. 10 del 1991, qualora l’assemblea dopo avere espresso la volontà di modificare il relativo impianto senza approvare il progetto accompagnato dalla relazione tecnica prevista dall’art. 28 della citata legge, abbia successivamente proceduto alla relativa fase esecutiva, deliberando la trasformazione del bene comune in impianti autonomi unifamiliari secondo un progetto tecnico che aveva previsto l’installazione di canne fumarie singole e collettive con un risparmio energetico rispetto al consumo necessario per il funzionamento dell’impianto centralizzato.* Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2006, n. 10871, Pittori ed altro c. Cond. Via Stefano Borgia 84, Roma ed altro.

 

 

 Canna fumaria sul muro condominiale - Serve il consenso dell'assemblea?

 

La nuova normativa. In base alla L. 17 dicembre 2012, n. 221 (cd.

Decreto crescita bis), vi sono nuove disposizioni che riscrivono la norma (art. 5, co. 9, D.P.R. 41271993) relativa all'obbligo per gli impianti termici siti negli edifici costituiti da più unità immobiliari, di collegamento ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell'edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente, fatto salvo il caso di installazione di generatori di calore a gas a condensazione che, per valori di prestazione energetica e di emissioni dei prodotti della combustione, appartengano alla classe ad alta efficienza energetica, più efficiente e meno inquinante, prevista dalla pertinente norma tecnica di prodotto UNI EN 297 e/o UNI EN 483 e/o UNI EN 15502.

In questo caso il posizionamento dei terminali di tiraggio deve seguire la norma tecnica UNI 7129, che disciplina appunto la collocazione dei termin ali di scarico fumi in base alle distanze di rispetto da finestre, balconi e aperture di ventilazione. Nel dettaglio la UNI 7129 de finisce anche:

Modalità di evacuazione fumi. L'evacuazione dei prodotti della combustione può essere realizzata in uno dei seguenti modi:

  • in camino/canna fumaria collettiva operante in depressione;
  • in camino operante con pressione positiva rispetto all'ambiente di installazione collocato all'esterno dell'unità abitativa e non addossato ad essa;
  • tramite un condotto per intubamento funzionante con pressione positiva rispetto all'ambiente di installazione collocato in vani tecnici dell'edificio;
  • tramite un condotto per intubamento operante in depressione;
  • diretto a parete (nei casi consentiti) o a tetto a mezzo di terminale.

Facendo riferimento a quest'ultimo caso (oggetto, tra l'altro, del quesito in esame), per evacuazione diretta, o scarico a parete, si intende lo scarico dei prodotti di combustione direttamente in atmosfera esterna, mediante condotti che attraversano le pareti perimetrali dell'edificio costituito da qualsivoglia numero di unità immobiliari.

Quando non è possibile utilizzare uno scarico a parete:

  • quando sia vietato da regolamenti locali (edilizio e/o d'igiene) che impongano lo scarico a tetto a prescindere dal tipo di generatore utilizzato.

Quando è possibile utilizzare uno scarico a parete:

  • quando si utilizzi un generatore di calore a gas a condensazione avendo cura di posizionare il relativo terminale di scarico o di tiraggio nel rispetto del punto 4.4.4. o 4.3.3.2. della norma UNI 7129-3:2008 a seconda che l'apparecchio sia dotato o meno di ventilatore (questi punti della norma indicano esattamente il posizionamento dei terminali di scarico in parete, con relativa schematizzazione delle zone di rispetto per evitare sia ritorno di fumi nell'abitazione che emissioni fastidiose nei confronti degli altri condomini).

=> Quando è lecito appoggiare la canna fumaria sulla facciata del condominio ?

Obbligo di scarico dei fumi sul tetto dell'edificio. Tornando all'obbligo di scarico dei fumi sul tetto dell'edificio, dobbiamo necessariamente fare riferimento alla sola canna fumaria, che viene così definita perché smaltisce i fumi provenienti da più apparecchi posti su più piani (tipicamente condominiale, ove più unità immobiliari dotate di impianti termoautonomi, convogliano gli scarichi in un'unica canna), al contrario del camino che smaltisce i fumi derivanti da un singolo apparecchio.
N el suo caso, non essendovi una canna fumaria collettiva a tetto nella quale poter convogliare i fumi di scarico del singolo im pianto di proprietà, lo scarico in facciata non è più ammissibile, a meno che non si tratti di una caldaia a gas a condensazione di ultima generazion


Fonte: https://www.condominioweb.com/quali-sono-i-rimedi-per-il-divieto-di-scarico-fumi-in-facciata.1562

 

Lo scarico dei fumi

Seconda importante verifica da fare prima di installare una stufa a pellet, quella che riguarda lo scarico dei fumi. In particolare, il controllo deve riguardare:

  • la dichiarazione di conformità rilasciata dall’operatore abilitato [1];
  • la placca del camino;
  • l’assenza di qualsiasi elemento in grado di ostruire lo scarico dei fumi;
  • che ci sia un comignolo idoneo all’evacuazione dei fumi;
  • la distanza tra la canna fumaria ed un materiale combustibile;
  • il materiale ed il tipo di canna fumaria;
  • che non ci siano altri apparecchi collegati alla stessa canna fumaria.

Le prese d’aria esterna

Un’ultima verifica da fare riguarda le prese d’aria esterna per la stufa a pellet. Devono essere obbligatoriamente messe nel locale in cui verrà installata la stufa oppure in un locale adiacente purché sia sempre comunicante con l’esterno.

Le prese d’aria devono essere:

  • protette da griglie o reti;
  • collocate in modo da permettere la manutenzione.

Stufe a pellet: la normativa sulla canna fumaria

Prima di entrare nei dettagli su tutta la normativa che riguarda lo scarico dei fumi delle stufe a pellet, bisogna precisare alcune cose sulla canna fumaria.

In realtà, non stiamo parlando di un pezzo unico, bensì di un sistema che comprende tre elementi, ovvero:

  • il canale da fumo, cioè la parte che collega la stufa al canino;
  • il camino vero e proprio;
  • il comignolo.

La normativa in materia fa riferimento ad un decreto legislativo del 2016 [2] che stabilisce quali sono le biomasse combustibili (come il pellet, appunto) e a diverse norme UNI che definiscono le caratteristiche delle canne fumarie e dei sistemi di evacuazione dei fumi.

Secondo queste normative, i materiali utilizzati per la fabbricazione delle canne fumarie (intese come l’insieme dei tre elementi sopra citati) devono essere di classe A1 (non combustibili) e riportare il marchio CE.

Il canale da fumo non può essere realizzato in materiale corrugato flessibile. Deve essere coibentato e consentire il recupero della fuliggine. In altre parole, deve essere accessibile per la pulizia e per eventuali ispezioni. Non deve attraversare locali a rischio di incendio in cui sia vietata l’installazione di apparecchiature a combustione.

Il camino per lo scarico dei fumi deve obbligatoriamente:

  • seguire un percorso verticale con deviazioni non superiori ai 45°;
  • avere una sezione interna circolare con raggio di oltre 20 millimetri oppure rettangolare con angoli arrotondati. In quest’ultimo caso, il rapporto tra i lati non deve essere superiore a 1,5;
  • separato da materiali combustibili o infiammabili tramite un’intercapedine d’aria o elementi di isolamento termico.

Inoltre, il camino deve ricevere lo scarico solo dal canale da fumo e non da canne fumarie collettive o da altri apparecchi. Tuttavia, è consentito il passaggio di un cavedio di altri camini.

È fondamentale che vengano rispettate queste regole previste dalla normativa sullo scarico dei fumi:

  • il camino non deve danneggiare l’edificio o altri impianti;
  • lo scarico deve avvenire dal tetto e non da un qualsiasi sistema a parete;
  • bisogna rispettare le distanze tra la canna fumaria ed i materiali combustibili.

Infine, si deve collocare il comignolo in modo tale che ci sia una corretta dispersione e diluizione dei fumi e dei prodotti della combustione. Si deve evitare, insomma, di collocarlo in un punto in cui ci possa essere un reflusso in grado di formare una contropressione.

Stufe a pellet: la documentazione obbligatoria

Una volta installata la stufa a pellet ed il sistema per lo scarico dei fumi, la normativa prevede il rilascio di una serie di documenti al responsabile dell’impianto. Bada bene al fatto che quest’ultimo può essere sia il proprietario della casa sia l’inquilino o chi vi abita in usufrutto. Significa che la documentazione va consegnata a chi occupa abitualmente quei locali.

Che cosa deve ricevere il responsabile dell’impianto dall’installatore abilitato? Deve avere in mano:

  • la dichiarazione di conformità e gli allegati;
  • i manuali di uso e di manutenzione del fabbricante della stufa;
  • le istruzioni sulla manutenzione e la frequenza con cui viene eseguita (deve essere riportata sulla dichiarazione di conformità sempre dal professionista abilitato);
  • il libretto dell’impianto richiesto dalla legge [3] con le eventuali regolamentazioni regionali;
  • copia fotografica della placca camino.

Canne fumarie nel condominio, sentenze

 La canna fumaria, anche se inserita nel muro condominiale, se al servizio di una sola unità immobiliare, non può essere considerata bene comuneCassazione civile , sez. II, sentenza 25.09.2012 n° 16306..... Il giudice distrettuale ha invero esaminato ed interpretato la doglianza de qua ritenendo, con congrua motivazione, che la questione controversa, oggetto dei motivi d'appello, attenesse essenzialmente nello stabilire se la canna fumaria - inserita nell'edificio condominiale - costituisse opera all'esclusivo servizio dell'unità immobiliare degli originari attori, ovvero di quella dei convenuti o se infine la stessa ricadesse nel novero delle cose comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c. e conclude che il "titolo" attributivo dell'esclusiva proprietà dei L. -A. andava ricercato nella destinazione funzionale dell'opera predetta all'esclusivo servizio del loro appartamento. In tale modo la corte distrettuale si è conformata ai principi espressi da questa S.C. con la richiamata sentenza n. 9231/91, secondo cui, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, " non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad un solo dei condomini, se sia destinata a servire esclusivamente l'appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione". (Cass. Sez. 2, n. 9231 del 29/08/1991).

 Non occorre il consenso del condominio per la realizzazione delle opereConsiglio di Stato- sez. V - 3 gennaio 2006, n. 11Il singolo condòmino ha titolo per realizzare delle opere anche in contrasto alla volontà del condominio. Conseguentemente è legittimo il rilascio del permesso di costruire per un’opera a servizio della sua abitazione e sita sul muro perimetrale.E′ legittima la realizzazione di una canna fumaria diretta ad evitare la diffusione dei funi

.Cassazione 9 maggio 2007, numero 10647, la dismissione dell’impianto condominiale di riscaldamento non si estende automaticamente alla canna fumaria, che deve essere qualificata come un manufatto autonomo dell’impianto: l’uso della canna fumaria, come condotto dei prodotti della combustione dell’impianto di riscaldamento, configura infatti solo una delle sue possibili utilizzazioni. Se un bene è comune - per la sua funzione e per la sua destinazione - ad uno o più edifici condominiali, la sua dismissione deve essere decisa da tutti i condómini proprietari degli edifici condominiali.Cass. n. 8552/2004 secondo la quale l'inserimento della canna fumaria all'interno del muro comuneche costituisce anche delimitazione della proprietà individuale, essendo invasivo della proprietà altrui, non può considerarsi come mero appoggio.Trib. di Napoli 17-03-1990 Muri perimetrali - Canna fumaria.L'installazione di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro perimetrale di un edificio, da parte di un condomino e' attività lecita rientrante nell'uso della cosa comune, previsto dall'art. 1102, Codice civile e come tale, non richiede ne' interpello ne' consenso degli altri condomini. La facoltà incontra soltanto i limiti costituiti dai diritti esclusivi altrui (ad esempio distanze dalle vedute, immissioni, etc.) e dal divieto di alterare il decoro architettonico dell'edificio.Trib. di Milano, sez. VIII, 26-03-1992 

 

Muri perimetrali - Installazione di una canna fumaria -Ammissibilità -Condizioni.L'uso ex art. 1102, Codice civile, della cosa comune da parte del comproprietario-condomino e' lecito quando: a) non ne altera la naturale destinazione; b) non impedisce agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto; c) non pregiudica la stabilità ed il decoro architettonico dell'edificio; d) non arreca danno alle singole proprietà esclusive. Applicando questi principi al caso concreto in esame, il Collegio ritiene che l'uso del muro comune (che dà sul retro dell'edificio) per appoggiarvi un'autonoma canna fumaria non ne altera la naturale destinazione, non pregiudica la stabilità dell'edificio e forse non impedisce agli altri comproprietari di utilizzarlo secondo il loro diritto. Ma non può seriamente negarsi che l'installazione di due separate canne fumarie nel tratto di facciata compreso tra i balconi e le finestre di ben cinque piani: 1) violi le norme sulle distanze legali (che non puo' essere inferiore a 75 cm dai più vicini sporti dei balconi delle proprietà individuali); 2) riduca in modo apprezzabile la visuale laterale che si gode soprattutto dalle finestre lungo le quali dovrebbe correre il manufatto; 3) ma soprattutto alteri il decoro architettonico della facciata intera dello stabile che ha una sua euritmia e dignità che meritano di essere preservate nel preminente interesse della collettività condominiale.

 App. di Milano, sez. I, 21-06-1991 Uso della cosa comune - Muro perimetrale -Canna fumaria ad uso esclusivo del singolo condomino - Limiti.L'apposizione, da parte di un condomino e per propria esclusiva utilità, di una canna fumaria lungo il muro perimetrale di un edificio, non integra una modificazione della cosa comune necessaria al suo miglior godimento, da parte di tutti i condomini, ma costituisce innovazione soggetta alla disciplina dell'art. 1120, Codice civile. Deve per questo ritenersi vietata, in primo luogo, quando costituisce un'evidente alterazione del decoro architettonico dello stabile e, in secondo luogo, quando le caratteristiche del manufatto sono tali da sottrarre una parte del muro condominiale all'uso degli altri condomini, i quali evidentemente non possono utilizzare la stessa porzione di muro per appoggiarvi propri tubi o manufatti. Il consenso di tutti i condomini richiesto per gli atti direttamente costitutivi di diritti reali sul fondo comune, non e' necessario per deliberare l'apposizione di una canna fumaria ad uso esclusivo di un singolo condomino, nonostante che l'imposizione abusiva di questa possa condurre alla costituzione di un diritto di servitù per usucapione. L'unanimità dei consensi prevista dall'art. 1108, Codice civile, non e', infatti, richiesta per gli atti che possono determinare la costituzione di diritti reali solo con il concorso dell'ulteriore ipotetico requisito dell'avvenuta maturazione del possesso ad usucapionem.Cass. civile, sez. II del 29-08-1991, n. 9231.Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere ad un solo dei condomini, se sia destinata a servire esclusivamente l'appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione.Cass. civile, sez. II del 17-02-1995, n. 1719.Nel caso in cui cessi l'uso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perché è riconducibile ai poteri del titolare di un diritto reale la facoltà di mettere o non mettere in attività un impianto, sia perché la canna fumaria va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.Cass. civile, sez. II del 08-04-1977, n. 1345.In applicazione dell'art. 906 Cod. civ., la distanza legale per la collocazione di una canna fumaria sul muro perimetrale comune, ad opera di uno dei condomini, non può essere inferiore a 75 centimetri dai più vicini sporti dei balconi di proprietà esclusiva degli altri condomini. Non è, però, consentito al condomino installare sul muro predetto - pur con l'osservanza delle distanze legali -canne fumarie che, per la loro dimensione o per la loro ubicazione riducono in modo apprezzabile la visuale di cui altri condomini usufruiscono dalle vedute situate nello stesso muro perché, diversamente, l'installazione costituirebbe innovazione eccedente i limiti segnati dall'art. 1102 Cod. civ., in relazione sia alla struttura del muro sia alla volontà dei condomini ed all'uso della cosa comune in concreto fatto da costoro.Cass. penale, sez. III del 25-10-1988 n. 10396.I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" un'opera preesistente, richiedono la concessione edilizia.Cassazione Civile Sezione Seconda sentenza n. 13451 del 08.04.1977 In applicazione dell'art. 906 cc, la distanza legale per la collocazione di unacanna fumaria sul muro perimetrale comune, ad opera di uno dei condomini, non può essere inferiore a 75 centimetri dai più vicini sporti dei balconi di proprietà esclusiva degli altri condomini. Non è, però, consentito al condomino installare sul muro predetto -pur con l'osservanza delle distanze legali - canne fumarie che, per la loro dimensione o per la loro ubicazione riducono in modo apprezzabile la visuale di cui altri condomini usufruiscono dalle vedute situate nello stesso muro perché, diversamente, l'installazione costituirebbe innovazione eccedente i limiti segnati dall'art. 1102 cc, in relazione sia alla struttura del muro sia alla volontà dei condomini ed all'uso della cosa comune in concreto fatto da costoro

 .Riferimenti normativi:NORMEUNI9731 del 1990: Classificazione dei camini in base alla resistenza termica.NORMEUNI9615 del 1990: Metodo di calcolo e di verifica della sezione dei camini.NORMEUNI-CIG7129: Norma che prevede la progettazione, l'installazione e la manutenzione di canne fumarie collettive per impianti con caldaie funzionanti a Gas e con potenzialità fino a 35Kw.NORMEUNI-CIG10640: Metodo di calcolo e progettazione di canne fumarie Collettive Ramificate adatte all'evacuazione di fumi prodotti da caldaie di tipo "B".NORMEUNI-CIG10641: Metodo di calcolo e progettazione di canne fumarie Collettive adatte all'evacuazione di fumi prodotti da caldaie di tipo "C".

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