I tentativi di conciliazione in materia di lavoro


La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 9
n.44 del 15 novembre 2010
Il punto di pratica professionale

I tentativi di conciliazione in materia di lavoro dopo il Collegato
Lavoro

a cura di Roberto Camera – Funzionario della DPL di Modena e curatore del sito internet
www.dplmodena.it

L’articolo nasce dall’esigenza di far conoscere tutte le possibili procedure extragiudiziarie,
previste dalla normativa italiana, in merito alla risoluzione delle vertenze in materia di
lavoro. In particolar modo, spiegare le nuove modalità previste dal Collegato lavoro che
hanno modificato notevolmente lo scenario già presente in Italia, andando a variare i
meccanismi previsti dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n.80, sull’obbligatorietà della procedura
conciliativa.
In questi anni, la Commissione di conciliazione ha avuto alterne fortune, in relazione alla
Provincia di appartenenza e al’organizzazione che si era data. Infatti, in alcune Direzioni
Provinciali del Lavoro il tentativo di conciliazione era considerato solo un passaggio
obbligato e non un’opportunità per trovare un accordo tra le parti. In altre Province,
invece, grazie al lavoro della Commissione, c’è stato un vero e proprio filtro al giudizio di
primo grado, riuscendo a conciliare percentuali notevoli di controversie e alleggerendo,
così, il lavoro dei giudici.
Prima di elencare le peculiarità dei vari tentativi di conciliazione ed arbitrato, vediamo di
chiarire le idee su cosa si intende per controversia individuale di lavoro.
  CONTROVERSIA INDIVIDUALE DI LAVORO
È quella controversia avente ad oggetto il singolo rapporto di lavoro. L’accordo si pone
come fine la tutela di un interesse prettamente individuale, tanto che la pronuncia ha
effetto limitatamente ai titolari del rapporto dedotto in giudizio.
Rientrano nella disciplina, ad esempio, le controversie aventi ad oggetto:
! pretese di natura retributiva;
! impugnazione dei licenziamenti;
! costituzione del rapporto di lavoro (no rapporto irregolare);
! violazione del patto di non concorrenza;
! violazione degli obblighi in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro;
! violazione del dovere di fedeltà concretizzatosi in atti di concorrenza sleale;
! illegittime modalità di attuazione del diritto di sciopero;
! risarcimento danni.
L’elencazione è meramente esemplificativa delle fattispecie oggetto delle vertenze in
materie di lavoro.
Non rientrano, tra queste tipologie, le controversie che hanno ad oggetto rapporti di
lavoro irregolari, per le quali la strada da percorrere è quella ispettiva, attraverso una
denuncia all’organo di vigilanza presente presso la Direzione Provinciale del Lavoro.
Anche per quest’ultimo caso è stata prevista dal legislatore (art.11 del D.Lgs. n.124/04) la
possibilità di un accordo conciliativo attraverso la c.d. conciliazione monocratica.
  Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per
l’Amministrazione di appartenenza.
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Tentativo di conciliazione facoltativo presso la Commissione di Conciliazione
Iniziamo col dire che il tentativo conciliativo ritorna ad essere facoltativo, così come
lo era ante D.Lgs. n.80 del 31 marzo 1998. Infatti, con l’entrata in vigore del Collegato
lavoro non esiste più la propedeuticità della procedura conciliativa ed il proponente può
adire direttamente dinanzi al giudice del lavoro per far valere i propri diritti senza
intraprendere la procedura conciliativa, prevista dall’art.410 e ss del codice di procedura
civile, ed attendere i 60 giorni previsti dalla precedente normativa.
Prima di promuovere in giudizio una domanda relativa ad un rapporto di lavoro, viene
data la possibilità al proponente di demandare la definizione della controversia ad una
Commissione di conciliazione presente presso le Direzioni Provinciali del Lavoro, ciò può
avvenire anche per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce
mandato.
In definitiva, il tentativo ora è su base volontaria e le parti hanno il potere e non il
dovere di rivolgersi a questa Commissione di conciliazione, potendo, per converso,
appellarsi direttamente al tribunale per vedere risolta la problematica lavorativa.
Altra modifica sostanziale - e sicuramente rilevante - è l’equiparazione della procedura
conciliativa sia per i rapporti di lavoro tra privati che per quelli con la Pubblica
Amministrazione. La disposizione è stata prevista dal co.8, dell’art.31 del Collegato
Lavoro, che ha abrogato gli artt.65 e 66 del D.Lgs. n.165/01, affermando che per le
controversie individuate dall’art.63, co.1, del D.Lgs. n.165/01, si applica “in toto” la
normativa del settore privato. In considerazione dell’abrogazione degli artt.65 e 66, con
l’entrata in vigore del Collegato lavoro verrà meno il Collegio di conciliazione presso le
Direzioni Provinciali del Lavoro, previsto per le controversie in materia di pubblico
impiego.
Ma quali sono i rapporti di lavoro privati che osservano le disposizioni degli
artt.410 e ss del codice di procedura civile?
Tali rapporti sono previsti dall’art.409 del codice di procedura civile:
 rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di un’impresa;
 rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a
coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la
competenza delle sezioni specializzate agrarie;
 rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione
che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata,
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
E per il pubblico impiego:
 tutti i rapporti di lavoro dipendenti da Amministrazioni Pubbliche, ivi compresi gli istituti
e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità
montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi
case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le
amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Sono esclusi:
l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la
responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto,
comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi
presupposti.
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!Competenza territoriale
A quale Direzione Provinciale del Lavoro rivolgersi per dar inizio alla procedura
conciliativa?
La competenza territoriale del giudice del lavoro, e quindi della Commissione di
conciliazione, è individuata dal co.2, dell’art.413 codice di procedura civile, il quale
prevede tre criteri da seguire, in alternativa e concorrenza fra di loro, a scelta del
proponente il tentativo:
1 IL FORO DELL’AZIENDA
il luogo cioè nel quale si accentrano i poteri direttivi ed amministrativi dell’impresa anche
se l’attività si svolge altrove ed anche se il lavoratore non è addetto a tale sede;
2 IL FORO DELLA DIPENDENZA DELL’AZIENDA
il foro della dipendenza dell’azienda al quale è addetto il lavoratore o presso la quale
egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto, per dipendenza
dell’azienda si deve intendere quel complesso di beni decentrato, dotato di propria
individualità tecnico-economica, collegato in maniera diretta e strutturale con l’azienda e
funzionalmente orientato al perseguimento degli scopi aziendali;
3 IL FORO DEL LUOGO IN CUI È SORTO IL RAPPORTO
inteso come luogo della stipulazione del contratto oppure come luogo in cui ha avuto
inizio l’attività lavorativa, quando non si può stabilire il luogo d’incontro della volontà delle
parti, quando il proponente richiede l’esecuzione senza la preventiva risposta
d’accettazione o quando la prestazione sia iniziata prima della conoscenza
dell’accettazione.
Per le controversie previste dal terzo punto dell’art.409 codice di procedura civile, e cioè i
rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che
si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente
personale, anche se non a carattere subordinato, è territorialmente competente il giudice
nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente, del rappresentante di commercio.
L’ultimo comma dell’art.413 codice di procedura civile, sancisce la nullità delle clausole
derogative della competenza territoriale.
L'incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva
ovvero rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Per quanto riguarda il
secondo grado di giudizio, la cognizione è della Corte d’Appello territorialmente
competente sul Tribunale che ha deciso.
!Composizione
Una volta risolti i problemi su quali sono i rapporti di lavoro per i quali il tentativo è
ammesso e sulla competenza territoriale dell’organo al quale presentare la domanda per
il tentativo di conciliazione, passiamo ad analizzare la procedura e verificare i
cambiamenti che il Collegato lavoro ha apportato alla stessa.
La composizione delle Commissioni di conciliazione, tranne per quanto riguarda il
presidente, è rimasta invariata rispetto alla normativa antecedente (D.Lgs. n.80/98). Esse
sono istituite presso il Servizio politiche del lavoro della Direzione Provinciale del Lavoro.
Sono, formalmente, composte dal direttore della Direzione Provinciale del Lavoro o da un
suo delegato o, ed è questa una delle novità, da un magistrato collocato a riposo, in
qualità di presidente, inoltre, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei
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datori di lavoro e dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello territoriale.
Altra novità attiene proprio alle modalità di individuazione delle organizzazioni sindacali.
Mentre, in precedenza, la designazione dei membri sindacali avveniva in base alla
rappresentatività a livello nazionale, con la nuova disposizione (co.3, art.410 codice di
procedura civile) la nomina dovrà avvenire in base alla rappresentatività a livello
territoriale.
In considerazione di ciò, ci sarà l’esigenza di ricostituire, entro quarantacinque giorni
dall’entrata in vigore della legge (è il termine massimo della “prorogatio” in caso di
ricostituzione di nuovi organi), la Commissione provinciale di conciliazione, sulla base
degli elementi relativi alla rappresentanza delle associazioni ed organizzazioni.
Ma quali saranno i criteri di scelta in base alla rappresentatività locale?
Ad avviso dello scrivente, si dovranno riprendere le consuetudini utilizzate per le elezioni
di altri organi sindacali all'interno di commissioni o organismi collegiali, e questi sono:
" il numero degli iscritti delle organizzazioni sindacali;
" il numero dei contratti integrativi sottoscritti;
" il numero degli uffici sul territorio;
" il numero delle controversie trattate dinanzi la DPL;
" il numero di controversie trattate in sede sindacale.
Altra domanda che sorge spontanea, in merito alla composizione della
Commissione è: quale sarà l'associazione dei datori di lavoro pubblico
presente nella Commissione?
In questo caso dovrà essere il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione
a chiarirci le idee in merito. A rigor di logica, potrebbe essere l’ARAN, ma detto organo
non ha uffici periferici per cui sarà difficile proporre propri funzionari in Commissioni
provinciali. Probabilmente, si arriverà alla trattazione di controversie relative a rapporti di
lavoro pubblici con Commissioni composte da un rappresentante di parte datoriale
privato. Ma attendiamo i chiarimenti del Ministero del Lavoro in merito a ciò.
Tornando alle modalità di nomina, i membri verranno così scelti:
il presidente viene nominato dal
direttore della Direzione provinciale del
lavoro;
i rappresentanti sindacali e datoriali
vengono nominati per decreto motivato
su proposta delle organizzazioni
sindacali stesse.
La Commissione non ha un termine di scadenza naturale del suo mandato. Spetta al
dirigente della Direzione Provinciale del Lavoro modificarne la composizione, qualora
verifichi che si è modificata la rappresentatività dei sindacati sul territorio.
Altra importante indicazione fornita è che, come per il passato, i componenti della
Commissione non vengono retribuiti.
Operativamente parlando, la norma, come accadeva con la previgente normativa, dà alle
Commissioni di conciliazione la possibilità di affidare il tentativo di conciliazione a proprie
sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione Provinciale del Lavoro o da un
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suo delegato e da almeno un rappresentante dei datori di lavoro e uno dei lavoratori. Per
cui, in definitiva, la Commissione è validamente costituita con la presenza di tre soggetti:
1. il Presidente (dirigente della DPL o suo delegato);
2. un rappresentante dei datori di lavoro (associazione datoriale);
3. un rappresentante dei lavoratori (sindacalista).
!Inizio procedura
Il proponente, che di massima è il lavoratore o il prestatore di lavoro ma che, in linea di
principio, può essere anche il datore di lavoro o il committente, per dare inizio alla
procedura conciliativa deve presentare domanda presso la segreteria della
Commissione di conciliazione, mediante consegna a mano o raccomandata con avviso
di ricevimento. La comunicazione alla controparte dell'avvio della procedura conciliativa
non è più a cura della Commissione bensì dell'istante, il quale, sempre tramite
raccomandata con ricevuta di ritorno o consegna a mano, dovrà allertare la parte avversa
circa l’intenzione di adire alla procedura conciliativa presso la Commissione di
conciliazione. All’interno dell’informativa - inviata alla controparte - dovrà essere presente
una copia dell’istanza di inizio procedura presentata alla Direzione Provinciale del
Lavoro. La richiesta deve contenere alcune informazioni obbligatorie:
! il nome, il cognome e la residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il
convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un
comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
! il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla
quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento
della fine del rapporto;
! il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla
procedura;
! l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
L’avvio della procedura conciliativa da parte dell’istante, così come prevista
dalla nuova normativa, ci fa balenare una domanda legittima: l’istanza potrà
essere inoltrata solo a mano e per raccomandata?
A rigor di logica, e leggendo l’articolo di legge, si direbbe di sì. Prima della modifica
legislativa, gli uffici accettavano l’invio, per la richiesta di attivazione della procedura,
anche via fax, per lettera ordinaria e per posta elettronica (e-mail). Con la precisazione
del co.5, dell’art.410 codice di procedura civile sulle modalità di invio, viene lasciato poco
spazio alle interpretazioni. Uniche riflessioni potrebbero esserci per la posta elettronica
certificata, considerata, a tutti gli effetti, il sostituto naturale della raccomandata, sempre
qualora entrambi ne siano in possesso, e per il fax, in quanto il co.3, dell’art.7 del DPR 20
ottobre 1998, n.403, dice che
“I documenti trasmessi a una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo
telematico o informatico idoneo ad accertare la fonte di provenienza del documento,
soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere
seguita da quella del documento originale attraverso il sistema postale.”
Su queste ultime modalità di invio, attendiamo l’intervento del Ministero del Lavoro per
chiarirci le idee in merito.
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FAC SIMILE: RICHIESTA TENTATIVO CONCILIAZIONE
alla Direzione Provinciale del Lavoro di
____________________
e p.c. alla ditta ____________________________________________
Il sottoscritto ___________________________ nato il [___/___/____] a
___________________ e domiciliato a ____________________________ via
_________________________ n. ______
presso ____________________ tel ____________ fax ____________ email
_______________
C H I E D E
che sia esperito il tentativo di conciliazione ai sensi dell’art.410 codice di procedura civile
e art.31 della Legge n. _____/2010, nei confronti della Ditta
_____________________________ esercente l’attività di ________________________
con sede in _________________________ via ___________________ n.____
tel.____________ fax____________ email ______________ alle cui dipendenze è
stato/è occupato dal [___/___/_____] al [___/___/_____] presso la sede di
___________________________ via ____________________________ con la qualifica
di _________________________ con le mansioni di ________________________ per le
seguenti casuali (barrare la parte che interessa):
" DIFFERENZA PAGA dal [___/___/______] al [___/___/______]
" MANCATA RETRIBUZIONE dal [___/___/______] al [___/___/______]
" FERIE NON GODUTE _________________________________________
" RIPOSO SETTIMANALE dal [___/___/______] al [___/___/______]
" COMPENSO LAVORO STRAORDINARIO dal [___/___/____] al [___/___/____]
" FESTIVITA’ NAZIONALI ED INFRASETTIMANALI dal [__/__/__] al [__/__/__]
" GRATIFICA NATALIZIA, 14° MENSILITA’ dal [___/___/______]
" INDENNITA’ SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO _______________________
" INDENNITA’ DI ANZIANITA’ ___________________________________
" PROVVIGIONI ______________________________________________
" LICENZIAMENTO __________________________________________
" ALTRE VOCI __________________________________________________
“Dichiaro di essere informato/a, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 13 del D.L.vo 196/03,
che i dati personali, di cui alla presente istanza, sono richiesti obbligatoriamente ai fini del
procedimento. Gli stessi, trattati anche con strumenti informatici, non saranno diffusi ma
potranno essere comunicati soltanto a soggetti pubblici per l’eventuale seguito di
competenza. L’interessato potrà esercitare i diritti di cui all’art.7 del D.L.vo 196/03”.
____________lì______ FIRMA_________________________
preleva
il documento
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!Tempi
Il tempo totale della procedura è previsto in 60 giorni, anche se questo è esclusivamente
teorico ed è propedeutico all’accettazione della procedura da parte del convenuto che, se
non avviene, libera le parti dall’adire all’autorità giudiziaria.
Ma andiamo con ordine:
1 dall’atto della consegna della domanda di avvio della procedura da parte
dell’istante, la controparte ha 20 giorni di tempo per accettarla e per inoltrare, alla
segreteria della Commissione di conciliazione, una memoria contenente:
! le proprie difese,
! le eccezioni in fatto e in diritto,
! le eventuali domande in via riconvenzionale.
2 In attesa della memoria difensiva, la Commissione pone in standby l’istanza del
proponente.
3 Una volta ricevuta la memoria, e quindi consapevole della disponibilità anche della
controparte al dare inizio alla procedura conciliativa, la Commissione fissa la
comparizione delle parti, che deve essere tenuta entro i successivi 30 giorni.
In considerazione delle modalità operative per la costituzione della procedura conciliativa,
i tempi possono allungarsi, in quanto i 20 giorni, per accettare o rifiutare l'avvio della
procedura, sono ordinatori e dipendono, in maniera evidente, dal ricevimento della copia
della richiesta da parte del convenuto. Infatti, con l’invio dell’istanza al convenuto tramite
raccomandata, si possono creare dei contrattempi (ritardo nella consegna del plico da
parte delle poste, comunicazione inviata alla sede operativa anziché alla sede legale che
presuppone un ulteriore passaggio e relativa perdita di tempo ecc) che possono dilatare i
tempi, facendo sforare i venti giorni previsti dalla normativa per l’accettazione della
procedura conciliativa. In definitiva, ad avviso dello scrivente, se la segreteria della
Commissione di conciliazione dovesse ricevere, da parte del convenuto, l’accettazione
per l’avvio della procedura il ventunesimo o il ventiduesimo giorno, dovrà essere,
comunque, disponibile a fissare la convocazione per la comparizione delle parti.
La norma stabilisce che, dinanzi alla Commissione, il lavoratore potrà farsi assistere
anche da un’organizzazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Sembra logico
che la stessa cosa possa avvenire, così come avveniva con la vecchia procedura, anche
per il datore di lavoro che potrà, così, farsi assistere da un avvocato, un consulente o una
persona di sua fiducia.
Cosa succede se il convenuto non accetta la procedura conciliativa?
Come abbiamo già in precedenza accennato, la procedura si deve intendere
conclusa per abbandono. La mancata accettazione potrà essere anche tacita,
cioè senza che la controparte debba inviare alcunché alla Commissione di conciliazione.
Cosa succede, invece, se le parti sono contestualmente d’accordo nel
procedere con il tentativo di conciliazione?
Vista la facoltatività della procedura, nulla vieta che le parti, di comune
accordo, presentino congiuntamente la domanda. In questo caso, la Commissione
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dovrebbe avviare la procedura senza attendere i 20 giorni previsti per le memorie del
convenuto.
Ad avviso dello scrivente, una volta a regime, questa sarà la via più praticata in caso di
accordo, in quanto la procedura sarà espletata quasi esclusivamente da soggetti già
vicini ad un accordo conciliativo che, vista la gratuità e le garanzie offerte (vedasi verbale
quale titolo esecutivo una volta consegnato in tribunale) preferiranno la Commissione di
conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro ad altre forme di conciliazione
previste dalla legge.
Per quanto attiene la possibilità, da parte dell’istante e del convenuto, di farsi
rappresentare durante la procedura conciliativa, nulla è cambiato rispetto al passato.
Infatti, continuano a valere le regolare generali per quanto attiene la delega e la relativa
autentica. La delega a conciliare e transigere può essere rilasciata, al delegante, da un
notaio o da un funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro mentre, per effetto delle
specifiche competenze, tale potere non sembra essere riconosciuto all’addetto comunale.
Una volta scelta la procedura extragiudiziaria, con la comunicazione della richiesta di
espletamento del tentativo di conciliazione, si interrompono i termini prescrizionali e si
sospende, per tutta la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi
alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Il tentativo di conciliazione
!L’accordo
La conciliazione può avvenire:
1. attraverso un accordo costruito dalle
parti e dalla Commissione durante le
riunioni dell’organo conciliativo;
2. attraverso un accordo stilato al di
fuori della Commissione e portato in
sede conciliativa al solo fine di
ratificarlo.
Nel primo caso l’accordo può maturare durante gli incontri previsti dalla Commissione di
conciliazione che può prevedere, per questo motivo, anche uno o più rinvii, sempreché,
ad avviso del presidente, ciò non sia voluto da una delle parti al solo fine di perdere del
tempo e senza alcuna volontà di definire la vertenza con un’intesa.
Nel secondo caso, spetta alla Commissione verificare la congruità dell'accordo e la
volontà delle parti di conciliare sull’oggetto della controversia.
Se la conciliazione, esperita ai sensi dell’art.410 del codice di procedura civile, riesce,
anche limitatamente ad una sola parte della domanda, viene redatto un verbale
sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione di conciliazione, cosa che,
invece, non avveniva con la precedente procedura. Infatti, era prevista la firma delle parti
e del solo presidente al fine di certificare l’autografia dei sottoscrittori.
La firma dei componenti della Commissione è un modo, ad avviso dello scrivente, per
responsabilizzare i membri e renderli maggiormente consapevoli dell’accordo che si sta
siglando.
L'esecutività del verbale conciliativo deve essere richiesta dalla parte interessata e
formulato con decreto dal giudice. Ciò avverrà esclusivamente se ci sono delle pendenze
economiche che non sono state evase alla sottoscrizione dell’accordo (es. pagamento
rateale).
Infine, per quanto attiene agli accordi riferiti alle controversie del pubblico impiego, il co.8
dell’art.410 del codice di procedura civile, pone, in capo al rappresentante della Pubblica
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Amministrazione, una tutela. In pratica, l’accordo stipulato non potrà dar luogo ad una
responsabilità amministrativa se non per dolo o per colpa grave del rappresentante
stesso.
!Il mancato accordo
Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, sull’oggetto del contendere, la Commissione di
conciliazione deve formulare, in base al proprio convincimento scaturito dalla
documentazione a disposizione e da quanto riferito dalle parti durante le udienze, una
proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i
termini di questa vengono riassunti nel verbale di mancato accordo, con l’indicazione
delle valutazioni espresse dalle parti. Del verbale di mancata conciliazione, contenente le
risultanze della proposta formulata dalla Commissione e delle motivazioni delle parti che
hanno portato alla sua mancata accettazione, viene data comunicazione al giudice del
lavoro – a cui le parti dovranno rivolgersi per la risoluzione del contendere - il quale, se
verifica che la mancata accettazione non è subordinata ad un’adeguata motivazione, ne
dovrà tener conto in sede di giudizio.
La proposta bonaria formulata dalla Commissione, al fine di definire la vertenza
lavorativa, è una novità della procedura conciliativa, in quanto non presente
nelle precedenti versioni.
Addirittura, la norma afferma che la Commissione “deve”, e quindi risulta obbligata a
formulare una proposta bonaria e quindi a decidere, a suo avviso, sulla definizione della
vertenza; in pratica, vi dovrà essere un’attenta e adeguata valutazione del merito della
controversia, evidenziando le problematiche del contendere e costruendo un congruo e
corretto verbale conciliativo che possa concludere la procedura dirimendo le pretese di
diritto e di fatto delle parti. A questa proposta conciliativa deve seguire
un’accettazione o un rifiuto da parte dei contendenti.
In caso di rifiuto le parti potranno decidere di motivare il no alla proposta,
specificandone i motivi all’interno del verbale di mancato accordo che dovrà contenere,
quindi, il nome delle parti, l’oggetto del contendere, la proposta conciliativa della
commissione e le eventuali motivazioni di diniego alla proposta formulata.
La proposta avrà un valore per il giudice qualora la mancata accettazione, da parte dei
“contendenti”, non sia adeguatamente motivata. In passato le risultanze del verbale di
mancato accordo, definite dalle parti, avevano un valore per il giudice, ma solo per
definire la ripartizione delle spese di giudizio.
Dinanzi al giudice, oltre il verbale di mancato accordo, dovranno essere presentati anche
tutte le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito (co.3, art.411 codice
di procedura civile).
Un dubbio appare scontato: la proposta della Commissione di conciliazione
dovrà avvenire a maggioranza o all'unanimità?
Se la trascrizione sul verbale della proposta conciliativa dovesse avvenire
esclusivamente all’unanimità, ci troveremmo a leggere ben poche proposte. Si
rammenta, infatti, che la Commissione è composta da un presidente, funzionario del
Ministero del Lavoro, da un rappresentante dei datori di lavoro e da un rappresentante
dei lavoratori. Per cui, a rigor di logica, sarà difficile riuscire ad avere l’unanimità della
Commissione sulla proposta, in quanto i rappresentanti ben si guarderanno dal
disattendere le indicazioni della parte che rappresentano. Se, invece, la Commissione
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potrà redigere la proposta bonaria a maggioranza, ipotesi più probabile, non si avranno di
questi problemi.
!Periodo transitorio
Cosa succede nel periodo transitorio e cioè con procedimenti conciliativi ancora
pendenti presso le Commissioni di conciliazione?
Ad avviso dello scrivente, le procedure già in corso e cioè quelle per le quali è
già stata inviata la convocazione alle parti dalla segreteria della Commissione di
conciliazione prima dell’entrata in vigore del Collegato lavoro, continuano con la
procedimentalizzazione prevista dalla vecchia normativa (D.Lgs. n.80/98). Sarà cura
della Commissione avvertire le parti sulla non obbligatorietà della procedura, e quindi sul
fatto che si potrà richiedere l’intervento del giudice del lavoro indipendentemente che
siano trascorsi i 60 giorni previsti dalla vecchia normativa per adire in giudizio.
Ciò non vale per i Collegi arbitrali del pubblico impiego (art.65 del D.Lgs. n.165/01):
infatti, la norma non prevede un periodo transitorio e abroga, dal giorno di vigore del
Collegato lavoro, gli artt.65 e 66 del D.Lgs. n.165/01, che prevedevano la procedura
conciliativa.
Per quanto riguarda, infine, le richieste arrivate dopo la data di entrata in vigore del
Collegato Lavoro, e per le quali non si è ancora avviato il procedimento conciliativo, si
dovrà seguire la nuova procedura facoltativa, anche e soprattutto in termini di
comunicazione. Pertanto la segreteria della Commissione dovrà avvertire la parte che ha
inoltrato l’istanza di conciliazione, indicando la corretta procedura di avvio del nuovo
tentativo facoltativo di conciliazione, affinché proceda nella comunicazione anche alla
controparte, con le indicazioni fornite dal nuovo art.410 e ss. del codice di procedura
civile.
Tentativo di conciliazione facoltativo presso la sede Sindacale
Il tentativo di conciliazione, anch’esso facoltativo, continua a sussistere anche in sede
sindacale. Logicamente, per questa ipotesi non si applicano le disposizioni previste per il
tentativo dinanzi alla Commissione di conciliazione (di cui all’art.410 codice di procedura
civile), in particolar modo per quanto attiene i tempi e le modalità di comunicazione. È
facile intuirne il motivo: generalmente sono tentativi che hanno già un accordo preventivo
alla convocazione stessa, per cui l’incontro è già a conoscenza delle parti che
definiscono in questa sede il verbale conciliativo.
Il processo verbale di avvenuta conciliazione, formulato in sede sindacale, deve essere
sottoscritto dal datore di lavoro, dal lavoratore e dai rappresentanti sindacali che hanno
accompagnato, nel percorso conciliativo, le parti e che hanno la firma depositata presso
la Direzione Provinciale del Lavoro. L’importanza della sottoscrizione, anche da parte del
sindacato, è evidenziata da una sentenza della Corte di Cassazione (sent. n.3910 dell’11
dicembre 1999), che mette in evidenza come il regime di inimpugnabilità (ex artt.410 e
411 codice di procedura civile) delle rinunzie e delle transazioni afferenti a diritti
inderogabili dei lavoratori – ex art.2113 c.c., co.4 – presuppone che i tre tipi di
conciliazione tipizzati dal legislatore (conciliazione giudiziale, in sede amministrativa
presso la Direzione Provinciale del Lavoro e in sede sindacale) siano caratterizzati
dall’intervento di un “soggetto terzo”, rispettivamente “il giudice, la Commissione
provinciale di conciliazione ed il sindacato, ritenuti dal legislatore idonei a tutelare il
lavoratore nel genuino formarsi della sua volontà transattiva o di rinuncia”.
Pertanto, secondo la Cassazione – le garanzie formali in caso di conciliazione sindacale,
per la quale pure si deve pretendere che essa risulti da un documento sottoscritto dalle
parti e dai “rispettivi” rappresentanti sindacali, anche al fine di verificare – con la loro
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 19
n.44 del 15 novembre 2010
contestuale sottoscrizione – il rapporto fiduciario intercorrente, sicché il requisito della
fiduciarietà può ritenersi normalmente integrato dalla “firma contestuale del lavoratore e
del rispettivo rappresentante sindacale”.
Il verbale in sede sindacale, una volta sottoscritto, viene depositato presso la Direzione
Provinciale del Lavoro per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo
delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale
nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, a sua volta, su istanza della parte
interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara
esecutivo con decreto.
Collegio arbitrale in seno alla Commissione di Conciliazione
Il comma 1 dell’art.412 codice di procedura civile, prevede la possibilità di trasformare la
Commissione di conciliazione in un collegio arbitrale al quale delegare la vertenza e dalla
quale attendere un lodo sulla questione evidenziata.
In qualunque fase del tentativo di conciliazione, dall’atto costitutivo della procedura al suo
termine, in caso di mancata riuscita, infatti, le parti possono affidare la risoluzione della
lite alla stessa Commissione di conciliazione, la quale riceverà il mandato a risolvere in
via arbitrale la controversia, spogliandosi da organo meramente consultivo e rivestendo i
poteri del Collegio arbitrale responsabile del lodo finale.
Cerchiamo di evidenziare quali sono i punti cardine che hanno portato il legislatore a
prevedere questa procedura arbitrale:
 si cerca di rilanciare l'arbitrato alternativo al giudizio di primo grado, ciò al fine di
limitare il ricorrere al giudice del lavoro che, una volta ripristinata la facoltatività della
procedura conciliativa prevista dal nuovo art.410 codice di procedura civile, farà
allungare notevolmente i tempi per la definizione del ricorso giudiziale;
 può avvenire in qualunque momento dell’iter extragiudiziale: all’inizio, durante o al
termine, in caso di mancata risoluzione della lite. Questo fa sì che la decisione maturi
durante tutto l’arco della procedura conciliativa;
 dando il mandato alla stessa Commissione di conciliazione di risolvere la questione in
sede arbitrale, si dovrebbero abbreviare notevolmente i tempi per la risoluzione
della vertenza, in quanto la Commissione è già a conoscenza dei fatti e delle relative
memorie di parte;
 questo mandato può riguardare tutto l'oggetto della controversia o soltanto una
parte. Infatti, la norma prevede che per tutto ciò che non è stato risolto con la
procedura conciliativa “ordinaria”, si possa decidere di dar mandato alla Commissione,
in funzione arbitrale.
In pratica, le parti rimettono la definizione di una loro controversia a soggetti esterni e
professionalmente competenti.
Il mandato a carico dei componenti della Commissione di conciliazione avrà valore previa
accettazione dello stesso da parte dei membri; accettazione che non può essere tacita e
che non sempre può avvenire. In quest’ultimo caso, il Collegio arbitrale non si forma ed il
procedimento arbitrale non ha inizio.
Altra considerazione riguarda la gratuità o meno dell’organo collegiale. Ad avviso dello
scrivente, e riprendendo analoga procedura arbitrale prevista dall’art.7 della legge 20
maggio 1970, n.300 (c.d. Statuto dei lavoratori), per i ricorsi avverso i provvedimenti
disciplinari, si presupporrebbe l’onerosità dell’iter arbitrale.
In considerazione di ciò, il Collegio arbitrale può essere riunito negli uffici della
Direzione Provinciale del Lavoro e durante l'orario di lavoro del dipendente
pubblico che, in questa procedura, ha funzioni di presidente?
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 20
n.44 del 15 novembre 2010
Sempre riprendendo analoga procedura arbitrare scaturente dall’art.7 dello Statuto dei
lavoratori, sembrerebbe ammessa la possibilità di utilizzare gli uffici della Direzione
Provinciale del Lavoro, ma al di fuori dell’orario di lavoro del dipendente pubblico. Inoltre,
l’orario per lo svolgimento dell’arbitrato non potrà essere considerato straordinario, vista,
per l’appunto, l’onerosità della procedura conciliativa.
Passiamo ora ad analizzare la procedura prevista dalla norma ed evidenziata all’art.412
codice di procedura civile.
Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono
indicare due elementi fondamentali:
1. il termine per l’emanazione del lodo,
che non può, comunque, superare i
sessanta giorni dal conferimento del
mandato. Nel caso venga superato
detto termine, l’incarico deve
intendersi revocato;
2. le norme invocate dalle parti a
sostegno delle loro pretese e
l’eventuale richiesta di decidere
secondo equità, nel rispetto dei
princìpi generali dell’ordinamento e dei
princìpi regolatori della materia, anche
derivanti da obblighi comunitari.
Quest’ultimo periodo è stato aggiunto dopo che il Presidente della Repubblica aveva
rinviato il testo alle Camere (marzo 2010). Infatti, il solo appello, dato dalle parti al
Collegio, di decidere secondo equità era stato considerato aleatorio, in considerazione
del fatto che, “nell'arbitrato secondo equità” la controversia può essere risolta in deroga
alle disposizioni di legge. Inoltre, il generico richiamo del rispetto dei principi generali
dell'ordinamento non appare idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili,
al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e, comunque, un aspetto così delicato non
poteva essere affidato a contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili
di alimentare contenziosi che la legge si propone, invece, di evitare.
Il compito primario del Collegio arbitrale è quello di raccogliere - nei sessanta giorni dal
mandato - le prove testimoniali e documentali idonee a tracciare un’idea ben definita
della controversia in atto. Le riunioni, in questo lasso di tempo, potranno essere molteplici
al fine di ottenere tutte le informazioni necessarie per un lodo equo e giusto.
Una volta raggiunto il lodo, che può essere deciso a maggioranza o all’unanimità, dovrà
essere sottoscritto ed autenticato dai tre arbitri.
La sentenza arbitrale avrà forza di legge tra le parti, così come previsto dall’art.1372 c.c.
relativamente all’efficacia del contratto, e non potrà essere sciolto che per mutuo
consenso o per cause ammesse dalla legge. Inoltre, non potrà produrre effetti rispetto a
terzi e si potrà far valere il quarto comma dell’art.2113 c.c. relativamente alle rinunzie e
transazioni.
Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo
arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.
Il lodo è impugnabile e, eventualmente, annullabile unicamente per i motivi previsti
dall'art.808-ter codice di procedura civile:
a) se la convenzione con la quale è stato dato il mandato agli arbitri è invalida o gli arbitri
sono andati oltre i limiti del mandato e la relativa eccezione sia stata sollevata nel
corso del procedimento arbitrale;
b) se gli arbitri non sono stati nominati nelle forme e nei modi stabiliti nella convenzione
arbitrale;
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 21
n.44 del 15 novembre 2010
c) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere arbitro per incapacità totale o
parziale ad agire;
d) se gli arbitri non si sono attenuti alle eventuali regole apposte dalle parti come
condizione di validità del lodo;
e) se, nel procedimento arbitrale, non è stato osservato il principio del contraddittorio.
Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale decide, in unico
grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede
dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del
lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno, comunque, dichiarato per iscritto di
accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è
depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione ha sede dell'arbitrato.
Conciliazione e arbitrato previsto dal contratto collettivo
Le controversie in materia di lavoro, riguardanti i rapporti indicati dall’art.409 del codice di
procedura civile possono essere, altresì, risolte attraverso modalità previste dai contratti
collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. In pratica,
i contratti collettivi possono prevedere commissioni “ad hoc” alle quali i datori di lavoro o i
lavoratori potranno rivolgersi per tentare una conciliazione o risolvere in via arbitrale la
vertenza lavorativa.
Le modalità di esecuzione della procedura conciliativa e le sedi presso le quali
rivolgersi sono lasciate alle stesse organizzazioni firmatarie del contratto collettivo.
La disposizione inserita all’art.412-ter del codice di procedura civile non è una novità, in
quanto la previgente normativa aveva già previsto questa ulteriore modalità di risoluzione
di una vertenza in materia di lavoro, ma nel concreto non ha portato a rilevanti risultati, in
quanto i lavoratori - principali “fruitori” del tentativo conciliativo - hanno praticato poco
questa procedura, preferendo la Commissione di conciliazione presso le Direzioni
Provinciali del Lavoro.
Collegio di Conciliazione ed Arbitrato irrituale
Altra modalità conciliativa prevista dal Collegato lavoro riguarda il nuovo art.412-quater
del codice di procedura civile, relativamente alla possibilità di dirimere le controversie di
lavoro (sempre afferenti le tipologie di lavoro previste dall’art.409 codice di procedura
civile) attraverso un collegio di conciliazione e arbitrato irrituale.
Il nuovo collegio di conciliazione e arbitrato, facoltativo per le parti, è composto da un
rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente,
scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie
giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione.
!Procedura
Colui il quale intende avvalersi di questa nuova procedura conciliativa deve notificare
personalmente o tramite un proprio rappresentante, al quale abbia conferito un mandato
specifico e presso il quale abbia eletto il proprio domicilio, un ricorso sottoscritto e diretto
alla controparte, contenente i seguenti dati obbligatori:
! l'oggetto della domanda;
! le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa;
! i mezzi di prova;
! il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda;
! la nomina dell'arbitro di parte.
L’istanza deve, inoltre, contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a
sostegno della propria pretesa e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 22
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rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche
derivanti da obblighi comunitari. Anche qui, ritroviamo il periodo voluto al fine di evitare
che gli arbitri potessero decidere basandosi esclusivamente su princìpi di equità senza
considerare le norme di legge che regolano il rapporto di lavoro.
Se la parte convenuta intende accettare la procedura, nomina il proprio arbitro di parte, il
quale ha tempo trenta giorni, dalla notifica del ricorso, per procedere alla nomina,
concordemente con l'altro arbitro, del presidente e della sede del collegio.
  MANCATO ACCORDO SUL NOME DEL PRESIDENTE
Se non c’è accordo tra gli arbitri sul nome del presidente (ricordiamo: esclusivamente un
professore universitario di materie giuridiche o un avvocato ammesso al patrocinio
davanti alla Corte di Cassazione), la parte che ha presentato ricorso, e solo questa, può
chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è
presente la sede dell'arbitrato.
  MANCATO ACCORDO SULLA SEDE OVE RIUNIRE IL COLLEGIO ARBITRALE
Se non vi è accordo, invece, sulla sede ove riunire il Collegio arbitrale, le parti presentano
ricorso al presidente del tribunale:
del luogo in cui è sorto il
rapporto di lavoro
o del luogo ove si trova
l’azienda o una sua
dipendenza alla quale è
addetto il lavoratore
o, infine, del luogo
presso il quale il
lavoratore prestava la
sua opera al momento
della fine del rapporto.
Una volta concordato il nome del presidente del collegio arbitrale e il luogo ove avrà
svolgimento la procedura arbitrale, la parte convenuta, entro trenta giorni dalla
costituzione del Collegio, deve depositare una memoria difensiva, sottoscritta da un
avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale abbia eletto domicilio. La memoria
difensiva deve contenere:
 le difese;
 le eccezioni in fatto e in diritto;
 le eventuali domande in via riconvenzionale;
 l'indicazione dei mezzi di prova.
Entro i dieci giorni dal deposito della memoria difensiva - da parte del convenuto - il
ricorrente può depositare, sempre presso la sede del collegio, una memoria di replica
senza modificare il contenuto del ricorso.
Nei successivi dieci giorni dal deposito della memoria di replica da parte del ricorrente, il
convenuto può depositare, presso la sede del collegio, una controreplica senza
modificare il contenuto della memoria difensiva.
Un inciso è d’obbligo per quanto riguarda il motivo per il quale, all’interno della domanda
di avvio della procedura da parte dell’attore, è previsto l’inserimento del valore della
controversia entro la quale si intende limitare la domanda oggetto della controversia.
Infatti, a differenza dalla procedura facoltativa prevista presso la Commissione di
conciliazione (nuovo art.410 codice di procedura civile), questa procedura è onerosa per
le parti, in quanto è previsto un compenso basato, appunto, sul valore del contendere.
L’onorario previsto per il presidente del collegio è fissato nella misura del 2% del valore
della controversia dichiarata nel ricorso; ciò indipendentemente dal fatto che il lodo possa
prevedere una modifica a questo valore. Infatti, può succedere che il valore della
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 23
n.44 del 15 novembre 2010
vertenza previsto inizialmente abbia, durante la procedura arbitrale e in relazione alle
prove documentali e testimoniali esibite dalle parti o richieste dagli arbitri, un notevole
ridimensionamento o addirittura un annullamento.
Inoltre, a parere dello scrivente, la procedura sarà poco praticata per controversie a basso
valore, in quanto sarà difficile “procurarsi” un presidente scelto tra professori universitari o
avvocati cassazionisti quando il valore della controversia sia di poche migliaia di euro, ciò
in considerazione del fatto che, in proporzione, il valore dell’onorario sarà, a sua volta, di
pochi centinaia di euro (es. valore della controversia: 10 mila euro; onorario per il
presidente: 200,00 euro; onorario del rappresentante di parte: 100,00 euro).
Il compenso, percentualizzato sul valore della controversia, deve essere versato, dalle
parti per metà ciascuna, presso la sede del Collegio arbitrale, mediante assegni circolari
intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza.
Per quanto riguarda gli altri due arbitri, ciascuna parte provvederà a compensare il
proprio nella misura dell’1%, sempre del valore della controversia indicato nella
domanda.
L’analiticità con cui è stato previsto, dalla norma, l’onorario del presidente e le
modalità di versamento, ci fanno riflettere proponendo un esempio che si
potrebbe verificare: cosa succede nel caso in cui all’atto dell’incontro dei tre
arbitri per l’inizio della procedura arbitrale non dovessero essere presenti,
presso la segreteria del Collegio, i due assegni che costituiscono il compenso del
presidente (2% del valore della controversia)? Il presidente stesso potrà non costituire il
Collegio arbitrale e, di conseguenza, non si avrà alcuna udienza né, tantomeno, alcun
lodo arbitrale.
La norma prevede la possibilità che i contratti collettivi nazionali di categoria istituiscano
un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del
collegio e del proprio arbitro di parte.
!Ricapitolando sui tempi per l’inizio della procedura arbitrale:
RICORRENTE
presentazione della domanda alla controparte, con l’indicazione
dell’oggetto della vertenza, del nominativo del proprio arbitro di
parte, delle ragioni di fatto e diritto sulle quali si fonda la domanda,
dei mezzi di prova e del valore della controversia;
CONVENUTO
se accetta la procedura arbitrale, nomina il proprio arbitro che,
concordemente con l’altro arbitro, ha tempo 30 giorni per nominare
il presidente e la sede del Collegio arbitrale;
CONVENUTO
entro 30 giorni dalla Costituzione del Collegio arbitrale, invia una
memoria difensiva contenente le difese e le eccezioni in fatto e in
diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione
dei mezzi di prova;
RICORRENTE
entro 10 giorni – può inviare al Collegio una memoria di replica
senza modificare il contenuto del ricorso;
CONVENUTO
entro 10 giorni – può effettuare una controreplica senza modificare
il contenuto della memoria difensiva.
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 24
n.44 del 15 novembre 2010
Entriamo ora nel vivo della procedura conciliativa.
Entro 30 giorni dall’ultimo adempimento burocratico, e cioè dalla controreplica del
convenuto, il collegio fissa il giorno dell'udienza dandone comunicazione scritta alle parti,
almeno dieci giorni prima, presso il domicilio eletto da questi ultimi.
Il primo incontro prevede un previo tentativo di conciliazione che, se riesce, porta alla
redazione di un processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio per
la definizione della vertenza; applicando, così, le disposizioni previste dal co1, dell’art.411
del codice di procedura civile.
Detto verbale conciliativo potrà essere dichiarato esecutivo, su richiesta della parte
interessata, con decreto da parte del giudice, qualora quest’ultimo accerti la regolarità
formale del verbale di conciliazione.
Se il tentativo conciliativo non va a buon fine, il Collegio provvede ad assumere le prove
presentate dalle parti, a richiederne di proprie e interroga le parti stesse. Questa fase è
facoltativa e può non essere praticata qualora il Collegio non ne ravvisi la necessità.
Nel caso di ammissione delle prove, il Collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di
dieci giorni di distanza, per l'assunzione delle stesse e la discussione orale.
La controversia di lavoro deve concludersi entro venti giorni dall'udienza di discussione,
mediante un lodo sottoscritto dagli arbitri. Anche in questo caso, come per la pronuncia
della Commissione di conciliazione in funzione arbitrale, il lodo avrà forza di legge tra le
parti, così come previsto dall’art.1372 c.c. e produrrà gli effetti previsti dall’art.2113, co.4,
in materia di rinunzie e transazioni.
Questo tipo di conciliazione, così come quelle previste dagli artt.410, 411, 412, 412-ter, si
applica non solo alle vertenze riguardanti i rapporti di lavoro privati ma anche a quelle
relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni (art.63, co.1,
del D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165). Restano devolute alla giurisdizione del giudice
amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Tentativo di conciliazione facoltativo presso le Commissioni di Certificazione
Il comma 13, dell’art.31 del Collegato lavoro, prevede la possibilità di esperire il tentativo
di conciliazione, previsto dall’art.410 del codice di procedura civile, per il tramite delle
Commissioni di certificazione previste dall’art.76 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n.276.
In pratica, il lavoratore o il datore di lavoro può tentare la soluzione di una
controversia in materia di lavoro pubblico o privato, accedendo alla
procedura conciliativa facoltativa prevista dal nuovo art.410 del codice di
procedura civile, oltre che dinanzi alle Commissioni di conciliazione o in sede
sindacale, anche presso le sedi delle Commissioni di certificazione.
Queste ultime sono organismi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro e sono
istituite presso:
 gli enti bilaterali, costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale
quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali
a competenza nazionale;
 le Direzioni Provinciali del Lavoro;
 le Province;
 le Università pubbliche e private;
 le Fondazioni universitarie;
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 25
n.44 del 15 novembre 2010
 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale della tutela delle
condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie
sedi di lavoro in almeno due Province anche di Regioni diverse ovvero per quei datori
di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che
abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla
commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, nell’ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione
generale della tutela delle condizioni di lavoro;
 i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro, esclusivamente per i contratti di lavoro
instaurati nell’ambito territoriale di riferimento.
La procedura è la stessa del tentativo instaurato dalla Commissione di conciliazione
presente presso la Direzione Provinciale del Lavoro, sia per quanto riguarda l’invio della
domanda da parte del proponente, sia per quanto attiene ai tempi di convocazione.
!Collegio arbitrale presso la Commissione di Certificazione
Gli organi di certificazione previsti dall'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre
2003, n.276, e già evidenziati nel paragrafo sul Tentativo di conciliazione facoltativo
presso le Commissioni di Certificazione (par. 6), possono istituire camere arbitrali per la
definizione delle controversie nelle materie di cui all'art.409 del codice di procedura civile
e all'art.63, co.1, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165; cioè in riferimento a vertenze di lavoro
sia del settore privato che del settore pubblico.
Le Commissioni di certificazione possono concludere convenzioni con le quali prevedano
la costituzione di camere arbitrali unitarie.
Le modalità di svolgimento del procedimento conciliativo rispecchiano quanto abbiamo
già detto in merito al Collegio Arbitrale in seno alla Commissione di conciliazione, previsto
dal co.1, dell’art.412 codice di procedura civile.
Tentativo di conciliazione obbligatorio per i contratti certificati
Mentre il tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione di conciliazione ed in sede
sindacale diventa facoltativo, il ricorrere avverso un rapporto di lavoro certificato
presuppone l’obbligatorietà del tentativo stesso presso la Commissione di certificazione
che ha adottato l'atto di certificazione. Il legislatore è stato chiaro: con il co.2, dell’art.31
del Collegato Lavoro, il ricorso giurisdizionale contro la certificazione potrà avvenire
previo tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione di certificazione che ha
certificato il contratto di lavoro.
La norma è soltanto una conferma a ciò che già sapevamo, in quanto ciò era stato già
previsto dal legislatore nel D.Lgs. n.276/03. L’ulteriore ratifica del co.4, all’art.80 del
D.Lgs. n.276/03, è stata dovuta al fine di fugare dubbi sulle nuove modalità conciliative
previste dal Collegato Lavoro, che avevano reso facoltativa la procedura generale
relativa all’art.410 codice di procedura civile.
In definitiva, in caso di controversia tra datore di lavoro e lavoratore che avevano
provveduto alla certificazione del rapporto di lavoro, il proponente il ricorso dovrà adire
preventivamente alla Commissione di certificazione che si riunirà in funzione conciliativa
con le modalità previste dal nuovo art.410 e seguenti del codice di procedura civile.
L’eventuale mancato accordo in sede conciliativa potrà, propedeuticamente, e dietro
richiesta degli interessati, far intervenire il giudice del lavoro per la risoluzione della
vertenza lavorativa.
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 26
n.44 del 15 novembre 2010
Tentativo di conciliazione in sede giudiziaria
Un'ultima attività conciliativa, prima del ricorso al giudizio, è stata inserita nel tentativo
dinanzi proprio al giudice del lavoro.
Infatti, con la modifica del co.1, dell’art.420 del codice di procedura civile, è
stata data maggiore enfasi al tentativo proposto dal giudice del lavoro, ciò al
fine di dirimere la controversia prima dell’inizio del procedimento giudiziario,
così da limitare i tempi per la definizione del contendere.
Fino alla modifica del Collegato lavoro il giudice aveva solo un compito generico e cioè
quello di interrogare le parti presenti e “tenta(re) la conciliazione della lite”. L’eventuale
mancanza di una delle parti, senza giustificato motivo, comportava una valutazione
soggettiva del giudice ai fini della decisione finale.
Con la modifica della norma, il giudice non solo “tenta la conciliazione della lite” ma
formula, alle parti, una fattiva proposta transattiva. Ed è questa proposta a costituire l’ago
della bilancia in merito alla decisione del giudice, qualora le parti, senza giustificato
motivo, la rifiutassero. Infatti, il rifiuto alla proposta transattiva del giudice, senza una
valida giustificazione a ciò, costituisce “comportamento valutabile dal giudice ai fini del
giudizio”.
La conciliazione monocratica
La conciliazione monocratica vuole essere uno strumento di risoluzione extragiudiziale
delle controversie, raccordando le due principali attività delle Direzioni Provinciali del
Lavoro: ispezione e conciliazione (art.410 ss c.p.c.).
Per ricorrere alla conciliazione monocratica, l’oggetto deve riguardare i diritti patrimoniali
del lavoratore, indifferentemente, di origine contrattuale o legale. Inoltre, il tentativo
conciliativo deve avvenire su aspetti inerenti esclusivamente il rapporto di lavoro.
L’intervento conciliativo potrà avere luogo per tutte le tipologie di rapporti di lavoro:
Subordinato Parasubordinato Autonomo
Il tentativo monocratico nasce da una denuncia (c.d. Conciliazione preventiva) presentata
dal lavoratore o da un avvocato o da un’associazione sindacale cui abbia conferito
mandato; o da parte di un ispettore del Ministero del Lavoro durante l’accesso ispettivo in
azienda, se acquisisce elementi da cui trae il convincimento della presenza di profili per
una possibile soluzione conciliativa delle questioni emerse (c.d. conciliazione
contestuale). In entrambi i casi, per dare inizio al tentativo di conciliazione:
" vi devono essere elementi per una soluzione conciliativa della controversia;
" vi deve essere la mancanza di qualsiasi accertamento di violazione amministrativa;
" vi deve essere la mancanza di problematiche di natura penale;
" vi deve essere la volontà del lavoratore.
Il tentativo di conciliazione monocratica avviene da parte del solo funzionario monocratico
(dipendente della Direzione Provinciale del Lavoro, con funzioni amministrative o
ispettive). Le parti possono farsi assistere o possono delegare altri soggetti, ai quali
abbiano conferito mandato, alla definizione della vertenza (es. associazioni,
organizzazioni sindacali, professionisti).
L’avvio del procedimento ha una doppia natura:
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 27
n.44 del 15 novembre 2010
volontaria per quanto attiene al lavoratore, il quale all’atto della formazione
della denuncia autorizza l’avvio della procedura conciliativa;
discrezionale l’apertura della procedura conciliativa è subordinata al benestare
del dirigente della Direzione provinciale del lavoro.
L’inizio della procedura monocratica interrompe i termini di cui all’art.14 della L. n.689/81,
fino alla conclusione del procedimento conciliativo.
Non in tutti i rapporti di lavoro si può intervenire con la conciliazione monocratica, infatti ci
sono dei casi di improcedibilità. Questi sono:
 contratti di lavoro certificati: la sede conciliativa è esclusivamente quella dinanzi alla
Commissione di certificazione che ha adottato l’atto;
 rapporti di pubblico impiego: l’ispettore del lavoro non è competente in materia di
pubblico impiego;
 violazioni di natura penale: se le violazioni sono evidenti (circolare Ministero Lavoro
n.36/09), vi è l’impossibilità di un accordo bonario tra le parti;
 accertamento da parte di un altro organo di vigilanza;
 irregolarità per più lavoratori: se certe rispetto alla denuncia presentata.
La competenza territoriale è quella relativa al luogo in cui si è svolto il rapporto di lavoro e
ove è esercitabile l’intervento degli organi di vigilanza finalizzato al recupero contributivo.
L’accordo scaturente dal tentativo monocratico è una manifestazione di volontà, comune
e consensuale, del datore di lavoro e del lavoratore, riguardo alla natura, alla durata, alle
caratteristiche e alle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro intercorso o
intercorrente tra gli stessi. Il verbale dovrà essere il più possibile analitico nell’indicare le
cifre e i titoli per i quali vengono corrisposte.
Il testo conciliativo potrà differire dalle affermazioni formulate dal lavoratore all’atto della
denuncia sia per quanto attiene al periodo di lavoro effettuato, sia in merito alle somme
percepite e da percepire e sia per quanto attiene alla tipologia di rapporto instaurato tra le
parti.
Per l’archiviazione della pratica, il funzionario avrà bisogno di ricevere la documentazione
relativa alla regolarizzazione del rapporto di lavoro da un punto di vista retributivo (busta
paga) e contributivo (F24). Per quanto riguarda i tempi per la conclusione della procedura
monocratica, il conciliatore non è soggetto alle limitazioni temporali previste per la
definizione delle vertenze dinanzi alla Commissione di conciliazione, ma ha la possibilità
di far maturare l’accordo per il tempo necessario. Per la sua definizione, la procedura può
prevedere anche più riunioni, al fine di ponderare le richieste della controparte o
l’eventuale accordo conciliativo proposto dallo stesso conciliatore.
!Conciliazione
Il verbale di conciliazione monocratica acquisisce efficacia di titolo esecutivo (art.38 del
Collegato Lavoro) con decreto del giudice competente, su istanza della parte interessata.
Per aversi l’estinzione del procedimento devono verificarsi due condizioni:
pagamento del “debitum“ nel confronti del lavoratore: pagamento delle somme
concordate quali retribuzioni.
pagamento dei contributi nei confronti degli Istituti previdenziali: versamento dei
contributi previdenziali ed assicurativi va calcolato in relazione al periodo lavorativo
e alla tipologia di rapporto di lavoro riconosciuto dalle parti nel verbale conciliativo.
La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 28
n.44 del 15 novembre 2010
Il versamento di quanto dovuto agli Istituti previdenziali, dovrà avvenire entro il 16° giorno
del mese successivo al termine indicato nel verbale di accordo.
Nel caso in cui il datore di lavoro non adempia né al versamento delle somme concordate
con il lavoratore né, tantomeno, delle relative somme per contributi previdenziali ed
assistenziali, l’ispettore dovrà accertare le violazioni e le inadempienze commesse sulla
base delle risultanze di un proprio accertamento, non essendo più vincolante la
quantificazione fatta in sede conciliativa.
!I vantaggi di un accordo
  PER IL DATORE DI LAVORO
potersi “mettere in regola” con oneri meno gravosi, e vedersi estinguere il procedimento
ispettivo in atto;
  PER IL LAVORATORE
riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro (in caso di rapporto totalmente
irregolare) con la relativa corresponsione della retribuzione e la coessenziale
regolarizzazione assicurativa e previdenziale;
  PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
“dirottare” gli ispettori verso situazioni più complesse e pianificare interventi mirati sul
territorio e verso settori produttivi più sensibili alle irregolarità in materia di lavoro.
!Mancata conciliazione
Il mancato accordo fa sì che la pratica ritorni all’organo di vigilanza che provvederà ai
successivi, opportuni, provvedimenti richiesti dalla normativa. Ciò significa che:
 in caso di tentativo conciliativo c.d. “preventivo”: il dirigente assegnerà la pratica ad un
ispettore per la successiva programmazione all’accesso in azienda.
 in caso di tentativo conciliativo c.d. “contestuale”: il dirigente riconsegnerà la pratica
all’ispettore che ha promosso il tentativo per i successivi accertamenti.
!Mancata comparizione
  DEL DATORE DI LAVORO
la Direzione Provinciale del Lavoro intenderà espletato (con esito negativo) il tentativo e,
conseguentemente, programmerà l’accesso ispettivo alla base della richiesta.
  DEL LAVORATORE
si può arrivare all’archiviazione della richiesta di intervento qualora il lavoratore non abbia
giustificato la sua mancata comparizione e non dimostri la sua volontà di vedersi
riconosciute le pretese indicate nella denuncia presentata.
  DI ENTRAMBE LE PARTI
il dirigente verificherà le modalità di intervento successive la mancata compartizione delle
parti. Potrà essere programmata una visita ispettiva o l’archiviazione della pratica,
dipendentemente dal convincimento che il funzionario si sarà fatto nel leggere la richiesta
di intervento.

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