LA DIFFIDA ACCERTATIVA
L’istituto della diffida accertativa e gli strumenti di tutela
a cura di Evangelista Basile – Avvocato in Milano ‐ Partner Studio Legale Ichino – Brugnatelli
e di Laura Di Nunzio – Collaboratrice Studio Legale Ichino – Brugnatelli
L’articolo 12 del D.Lgs. n.124/04 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’istituto della diffida accertativa, strumento che attribuisce al personale ispettivo delle Direzioni del Lavoro il potere di diffidare il datore di lavoro a corrispondere direttamente ai propri lavoratori, entro trenta giorni dalla notifica dell’atto di diffida, crediti patrimoniali derivanti da violazioni della normativa di legge e di contratto accertate nel corso dell’indagine
ispettiva. Avverso la diffida accertativa ed entro trenta giorni dalla sua notifica, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione dinanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro, procedura che ‐ se ha esito positivo ‐ conduce alla sottoscrizione tra le parti di un accordo transattivo che priva d’efficacia il provvedimento di diffida; in caso
contrario, ovvero nell’ipotesi di inutile decorso del termine decadenziale sopra indicato, la diffida acquista con atto del Direttore Provinciale del Lavoro valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo, consentendo al lavoratore di procedere alla soddisfazione del proprio credito con esecuzione forzata. Come si dirà oltre, il titolo esecutivo così formato può essere certamente opposto dal datore di lavoro in via amministrativa e, a nostro avviso, anche in via giudiziale (sebbene su quest’ultimo aspetto la norma taccia).
Già da questa prima analisi dell’istituto emerge con evidenza l’importanza che la diffida accertativa riveste nel nostro ordinamento giuridico e il motivo che ha portato i primi commentatori del D.Lgs. n.124/04 a sottolinearne la straordinaria portata innovativa. La natura di titolo esecutivo del provvedimento amministrativo validato dal direttore della DPL territorialmente competente permette, infatti, al lavoratore di pervenire a una rapida soddisfazione dei propri crediti di lavoro, consentendogli, da un lato, di evitare l’instaurazione di un procedimento di cognizione per l’ottenimento di un titolo della stessa natura e, dall’altro, di poter procedere immediatamente con la procedura esecutiva. Tuttavia, il rafforzamento della tutela stragiudiziale dei crediti del lavoratore ottenuta con l’introduzione dell’istituto in esame ha sollevato in dottrina forti dubbi di legittimità costituzionale. Il procedimento amministrativo sopra delineato, infatti, ha comportato un sostanziale differimento nel tempo delle possibilità di difesa giurisdizionale del datore di lavoro, il quale si vede costretto a subire gli effetti di un titolo esecutivo emesso senza le fondamentali garanzie giurisdizionali (in assenza cioè di un vero contraddittorio). In altri termini, sorge il dubbio che il rafforzamento della tutela dei crediti del lavoratore si sia realizzata a scapito del diritto di difesa della controparte datoriale.
Per approfondire tali problematiche e individuare l’effettiva portata dell’istituto in esame si rende necessario procedere all’esegesi dell’art.12, anche al fine di evidenziarne le maggiori criticità e tentare di fornire qualche soluzione alle questioni che esso pone.
Condizioni di operatività della diffida accertativa
L'articolo 8 della L. n.30/03 ha delegato il Governo a
razionalizzare le funzioni ispettive in materia di
previdenza sociale e di lavoro, nel rispetto del
principio e criterio direttivo della "semplificazione
della procedura per la soddisfazione dei crediti di
lavoro correlata alla promozione di soluzioni
conciliative in sede pubblica" (art.8, co.2, lett.e)). In
quest’ottica il legislatore delegato ha introdotto, con
l’art.12 del D.Lgs. n.124/04, l’istituto della diffida
accertativa, che ‐ come detto ‐ permette agli ispettori
delle DPL, che abbiano già concretamente avviato
l'attività di vigilanza:
1) di verificare eventuali irregolarità nella
corresponsione ai “prestatori di lavoro” delle
relative spettanze retributive dovute per legge e
per contratto;
2) di quantificarne l'ammontare;
3) di diffidare il datore di lavoro all'adempimento,
pena la formazione di un titolo esecutivo.
Il provvedimento di diffida, come precisato dalla
circolare ministeriale n.24/04, può riguardare tanto i
crediti derivanti da rapporti di lavoro subordinato,
quanto quelli derivanti da rapporti di lavoro
autonomo (collaborazione coordinata e continuativa
e lavoro a progetto), almeno in tutte quelle ipotesi in
cui l'erogazione dei compensi sia legata a
presupposti oggettivi e predeterminati, che non
richiedano complessi approfondimenti in ordine alla
verifica dell'effettivo raggiungimento o meno dei
risultati dell'attività. L’oggetto della diffida
accertativa viene individuato nei “crediti
patrimoniali” del lavoratore derivanti dalle
“inosservanze alla disciplina contrattuale”. A questo
proposito, va detto che l’aggettivo “patrimoniali”
non aiuta a delimitare l’ambito di operatività della
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chiarezza la natura della diffida accertativa,
provvedimento frutto non della discrezionalità
amministrativa, ma di un mero accertamento di fatto
operato in sede d’ispezione.
Gli aspetti procedurali e i possibili rimedi
amministrativi e giurisdizionali
Come anticipato, avverso la diffida accertativa al
datore di lavoro è riconosciuta una duplice facoltà:
ottemperare alla diffida corrispondendo al lavoratore
gli importi risultanti dai calcoli effettuati
dall’ispettore, oppure – se in disaccordo con essi –
promuovere un tentativo di conciliazione. In
entrambi i casi, il datore di lavoro dovrà attivarsi
entro trenta giorni dalla notifica della diffida.
Riguardo a questo primo “rimedio”, va detto subito
che il tentativo di conciliazione è – nella stragrande
maggioranza dei casi – del tutto inutile e inefficace,
giacché capita assai di rado che un lavoratore sia
disponibile ad accettare una transazione (ossia, a
fare una qualche concessione al datore di lavoro) in
presenza di un accertamento a lui favorevole da
parte dell’ispettorato del lavoro.
Decorso inutilmente detto termine o qualora in sede
di conciliazione non venga raggiunto alcun accordo,
la diffida accertativa acquista valore di accertamento
tecnico, con efficacia di titolo esecutivo. Tale effetto,
peraltro, non deriva dal semplice decorso del tempo,
ma è subordinato all’emanazione di un atto di
validazione di competenza del direttore della DPL, il
quale valuta la legittimità dell’atto assunto dagli
ispettori e, in particolare, la sussistenza dei
presupposti per la sua adozione. La diffida validata è
dunque un atto complesso, risultante dalla fusione di
due volontà provenienti da soggetti appartenenti alla
stessa amministrazione, seppur posizionati in una
diversa scala gerarchica. La diffida accertativa
validata dev’essere notificata sia al lavoratore che al
datore di lavoro: per entrambi, infatti, decorrono
dalla data di notifica i termini per promuovere le
ulteriori fasi procedimentali o esecutive. In
particolare, da quella data, il lavoratore può attivare
il procedimento esecutivo per la riscossione coattiva
del credito accertato. Infatti, la validazione
direttoriale attribuisce alla diffida accertativa
l’efficacia di titolo esecutivo, elevando tale atto
amministrativo a condizione necessaria e sufficiente
per la soddisfazione del credito in essa accertato. Per
contro, il datore di lavoro può impugnare l’atto di
diffida validato entro trenta giorni dalla sua notifica
con ricorso amministrativo da presentare avanti al
Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui
norma, in quanto tutti i crediti derivanti dal contratto
di lavoro hanno natura patrimoniale, ai sensi
dell’art.1321 c.c.. Nonostante la norma faccia
riferimento alle sole inosservanze alla “disciplina
contrattuale”, le violazioni che possono dar origine
alla diffida accertativa riguardano l’insieme delle
disposizioni legislative e contrattuali, collettive e
individuali, che regolano il rapporto di lavoro. A titolo
esemplificativo, potrà trattarsi di crediti previsti a
titolo di:
1. retribuzione (minimi contrattuali, ex indennità di
contingenza, EDR, scatti di anzianità, superminimi,
maggiorazioni, indennità varie ecc, compresi
mensilità aggiuntive e Tfr);
2. erogazioni pattuite a livello collettivo nazionale,
territoriale o aziendale (ad es. i premi di anzianità
aziendale, i premi di risultato aziendale ecc);
3. compensi dovuti a titolo di indennità di preavviso,
o per patto di non concorrenza, ovvero anche
particolari benefit previsti dalla contrattazione
collettiva o dal contratto individuale;
4. oneri contributivi e assicurativi quantificati
secondo le disposizioni normative e contrattuali
vigenti.
Per ricevere tutela attraverso l’emanazione della
diffida accertativa, i suddetti crediti devono
necessariamente essere certi, liquidi ed esigibili,
requisiti la cui sussistenza dovrà essere accertata
dagli ispettori del lavoro durante l’indagine ispettiva.
A tal proposito, si ricorda che il credito è
• certo quando è sicura e provata la sua esistenza;
• liquido quando è determinato o determinabile nel
suo ammontare
• esigibile quando non è soggetto a condizione o a
termine.
Pertanto, gli ispettori potranno diffidare il datore di
lavoro solo qualora dalle violazioni accertate durante
l’ispezione discendano inequivocabilmente a favore
dei lavoratori crediti pecuniari il cui ammontare
possa essere calcolato con criteri certi e obiettivi. Al
contrario, nel caso in cui la sussistenza o
l’ammontare dei suddetti crediti dipendano da una
valutazione di carattere tecnico‐giuridico e non dal
mero accertamento fattuale circa la loro esistenza,
l’ispettore non potrà ricorrere all’istituto della
diffida, potendo unicamente sollecitare le parti alla
conciliazione monocratica ex art.11 del D.Lgs.
n.124/04 o, eventualmente, informare il lavoratore
dei suoi pretesi diritti, affinché si attivi
personalmente per ottenere tutela attraverso
l’ordinaria via giudiziale. Emerge, quindi, con
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all’art.17, del D.Lgs. n.124/04, integrato con un
rappresentante dei datori di lavoro e un
rappresentante dei lavoratori designati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative a livello nazionale. I ricorsi sono
decisi nel termine di 90 giorni dal ricevimento, sulla
base della documentazione prodotta dal ricorrente e
di quella in possesso dell'Amministrazione. Decorso
inutilmente il termine previsto per la decisione, il
ricorso si intende respinto. Va poi segnalato che, a
norma dell’inciso finale del co.4 dell’art.12, la
presentazione del ricorso sospende l’esecutività della
diffida accertativa, con conseguente impossibilità per
il lavoratore di procedere all’esecuzione forzata del
credito accertato nel titolo esecutivo. L’esperienza
professionale insegna che anche questo secondo
rimedio non è particolarmente efficace per il datore
di lavoro, atteso che raramente i ricorsi vengano
accolti o ‐ anche solo ‐ valutati in modo approfondito
dal competente Comitato (per cui, di norma, si
risolvono con il rigetto per inutile decorso del
termine di 90 giorni).
Il legislatore non ha invece previsto espressamente
alcun rimedio giurisdizionale esperibile dal datore di
lavoro avverso il provvedimento di diffida. Con il
sostegno della dottrina che sino ad oggi si è occupata
della questione, si possono individuare due forme di
tutela.
A. Anzitutto, va ritenuto possibile – a nostro avviso –
il ricorso da parte del datore di lavoro avverso la
diffida accertativa prima ancora che essa
acquisisca efficacia di titolo esecutivo,
promuovendo un’azione di accertamento negativo
ex art. 414 c.p.c.. Nelle more del giudizio di
accertamento negativo, il datore di lavoro
potrebbe comunque agire per chiedere la
sospensione della diffida – divenuta nel frattempo
esecutiva – attraverso la proposizione di una
domanda cautelare ex art.700 c.p.c.,
sussistendone i relativi requisiti. Il ricorso contro la
diffida accertativa andrebbe promosso davanti al
giudice del lavoro, poiché l’oggetto del
contendere riguarda diritti soggettivi correlati a
obblighi derivanti dai rapporti di lavoro.
B. Certamente ammissibile – inoltre – il ricorso del
datore di lavoro all’autorità giudiziaria dopo la
notifica del titolo esecutivo e del precetto,
mediante opposizione all’esecuzione ovvero
opposizione agli atti esecutivi ex artt.615, 617 e
618‐bis c.p.c.. In tal caso, si rammenta che la
giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che
il giudice dell’opposizione al precetto (art.615,
co.1 c.p.c.) non ha il potere di sospendere
l’esecuzione, per cui la sospensione della
procedura esecutiva può essere ottenuta –
sussistendone i motivi – soltanto dopo il
pignoramento
(o
comunque
l’avvio
dell’esecuzione).
Posto che il giudice dell’esecuzione è di norma
tenuto a pronunciarsi esclusivamente sulla legittimità
degli atti esecutivi, se non si vuole pregiudicati i
diritti di difesa del datore di lavoro – e dunque per
evitare vizi d’illegittimità costituzionale della norma
in commento – si deve ammettere che il giudizio di
opposizione all’esecuzione si svolga, né più né meno,
con le modalità di un normale processo
d’impugnazione (così come avviene per il
procedimento di opposizione ex art.22 L. n.689/81,
processo nel cui ambito al giudice è demandata la
cognizione della vicenda sostanziale in cui si è
concretato l’intero rapporto controverso e non solo,
come è tipico del procedimento di opposizione
all’esecutivo o agli atti esecutivi, la legittimità del
titolo esecutivo o del suo processo di formazione o
dei fatti ostativi sopraggiunti).
Considerazioni conclusive
Alla luce dell’analisi che precede, appare evidente
l’indubbia efficacia che caratterizza la diffida
accertativa, soprattutto in termini di celerità per
l’ottenimento del titolo esecutivo rispetto ai tempi
necessari, per il medesimo fine, mediante il più
tradizionale procedimento monitorio. Tuttavia, non
può sottacersi il fatto che ‐ una volta attivato il
procedimento amministrativo di cui all’art.12 del
D.Lgs. n.124/04 ‐ la “gestione della pratica” relativa
al recupero dei crediti passa necessariamente dalle
mani del prestatore di lavoro (e – di norma – del suo
professionista di fiducia) a quelle dell’ispettore, al
quale compete, come visto, la verifica e l’eventuale
quantificazione delle spettanze vantate dal
lavoratore. E non è affatto scontato che le risultanze
cui l’ispettore perviene coincidano con le aspettative
del lavoratore. Nonostante la celerità del
procedimento di diffida accertativa, quindi, per il
lavoratore potrebbe essere comunque preferibile
agire in via giudiziale, al fine di mantenere il pieno
controllo sulla pratica, potendo così individuare egli
stesso ‐ con il proprio professionista di fiducia ‐ i
crediti per i quali chiedere la formazione del titolo
esecutivo.
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