Corte di Cassazione, SS.UU., 13/1/2005 n. 460



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Sulla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario relativamente alle controversie concernenti il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri.



A seguito della implicita abrogazione "per incompatibilità con il sistema complessivo" dell'art. 58 del R.d 148/31 i provvedimenti disciplinari adottati da un'impresa di trasporti nei confronti di un proprio dipendente, trattandosi della manifestazione di un potere contrattuale esercitato in posizione paritaria, non dissimile da quello proprio di qualunque altro datore di lavoro privato sono devoluti alla giurisdizione del giudice ordinario.
L'estensione della giurisdizione ordinaria alle controversie concernenti tutti i momenti e gli aspetti del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, oltre a restituire piena coerenza al sistema, soddisfa anche l'esigenza di certezza del diritto rimuovendo spazi di ambiguità nei casi - non infrequenti - in cui è in discussione la natura stessa (disciplinare o meno) del provvedimento impugnato, ovvero il petitum (annullamento del provvedimento, in via principale, ovvero in via incidentale, quale premessa per il riconoscimento di crediti retributivi o risarcitori su questa alternativa, si fronteggiano significativamente le due recenti sentenze di queste SSUU, 27 gennaio 2004 n. 1313 e 1415 ).

Materia: trasporti / giurisdizione e competenza



CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Presidente Carbone – relatore Foglia

omissis

Svolgimento del processo
Con ricorso del 4.3.2000 alla Corte di appello di Roma, Carlo Sementilli impugnava la sentenza datata 24.2.1999 con la quale il Pretore della stessa città aveva respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli - con lettera del 19.9.1995 - dalla s.r.l. Viaggi e Turismo Marozzí presso la quale aveva prestato servizio da autista.
Lamentava il ricorrente che erroneamente la sentenza di primo grado aveva giudicato legittimo il licenziamento pur a fronte di un suo comportamento che per prassi era stato sempre tollerato dal datore di lavoro. Il licenziamento doveva, inoltre, essere ritenuto nullo, sia perché intimato in violazione del regolamento all.A al R.D. n. 148/1931 (non trovando applicazione alla fattispecie l'articolo 66 del ccnl) sia perché contestuale alla contestazione degli addebiti.
Costituitasi la società convenuta, la Corte di appello declinava la giurisdizione, con sentenza del 23.4.2001, avverso la quale il Sementilli ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
La società intimata ha resistito con controricorso, formulando, altresì ricorso incidentale articolato in due motivi.

Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta, ex articolo 335 Cpc., la riunione dei due ricorsi, principale ed incidentale aventi ad oggetto la medesima sentenza impugnata
Con l'unico motivo del ricorso principale - deducendo la violazione e falsa applicazione dell'articolo58 dei Rd 148/31, dell'articolo 55 del D.Lgs. n. 29/1993, così come modificato dall'articolo 51 del D.Lgs 30.3.2001, n. 165, dell'articolo 68 del D.Lgs n. 29/1993 così come sostituito dall'articolo 29 del D.Lgs 80/1998, quindi modificato dall'articolo 18 del D.Lgs.397/1998 e, sostituito infine dall'articolo 63 del D.Lgs 165/2001, oltre ad insufficiente, incongrua e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia il Sementilli lamenta la declinatoria di giurisdizione compiuta dalla Corte di appello di Roma, pur in assenza di una decisione del Consiglio di disciplina -resa ai sensi degli articoli. 53, 54, e 58 del Rd 148/1931 - avverso la quale secondo l'articolo 58 cit. è ammesso ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdízionale.
Il ricorrente formula anche espressa eccezione di illegittimità costituzionale del citato articolo 58, per contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost.
Con il primo motivo del ricorso incidentale - deducendo la violazione e falsa applicazione degli articoli 5 Cpc, 2119 Cc , 1 e 2 della legge 604/66; 7, comma 5 della legge 300/70, 413 e 433 Cpc; 1, 14, 21 e 23 della legge 210/85 - la società resistente censura la sentenza impugnata per aver essa erroneamente ritenuto provata la circostanza del numero di dipendenti superiore a 25, con la conseguente applicabilità delle disposizioni del R.D. n. 148/1931 in punto giurisdizione del giudice amministrativo. Col secondo motivo del ricorso incidentale, la società intimata - deducendo la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 cpc, 2909 Cc e 324 Cpc - osserva che il ricorso del Sementilli si limita ad invocare la sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale sull'incidente sollevato dal Tribunale di Milano con l'ordinanza del 20.8.2001, ovvero una nuova rimessione della questione davanti alla Corte costituzionale, non avendo riproposto tutte le domande già respinte dal Giudice di primo grado, deve ritenersi che la decisione di prime cure sia passata in giudicato (interno, e come tale rilevabile di ufficio).
Conclude la società resistente invocando la reiezione del ricorso principale con la decisione anche nel merito, ex articolo 384 Cpc.
Vanno esaminati anzitutto i due motivi dei ricorso incidentale i quali propongono questioni la cui soluzione potrebbe assorbire il ricorso principale, costituendone antecedenti logico-giuridici.
Entrambi detti motivi non possono essere accolti.
Quanto al primo è sufficiente rilevare che la sentenza impugnata ha ritenuto indispensabile la verifica del numero minimo dei dipendenti dell'azienda in questione, trattandosi di un requisito che comporta l'istituzione dei Consiglio di disciplina, unico organo competente ad irrogare la sanzione del licenziamento disciplinare ai sensi dell'articolo 53 del Rd., organo, “pacificamente” non istituito presso l'azienda appellata.
Ed infatti, l'articolo 1 della legge 1054/60 stabilì che le disposizioni del Rd del 1931, con i relativi allegati fossero estesi al personale addetto agli autoservizi di linea extraurbani, anche se non direttamente dipendente da azienda concessionaria, e sempreché a giudizio  del ministero dei trasporti Ispettorato Generale della motorizzazione civile e trasporti in concessione, risultasse superiore a 25 il numero di personale occorrente per le normali esigenze di tutti gli autoservizi, anche se urbani, esercitati dall'azienda.
Ciò premesso, la Corte di appello, ha però aggiunto che l'esistenza di detto requisito dimensionale non è stata contestata e, anzi, risulta “ex acti”s, sicché non si pone in radice  l’applicabilità dell'articolo 58 del Rd. cit.
Quanto al secondo motivo del ricorso incidentale si osserva, da una parte, che l'attesa pronunzia della Corte costituzionale, in risposta alla citata ordinanza dei Tribunale di Milano, si è espressa in termini di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 58 del Rd del 1931 (ordinanza n. 301 dei 2004); e che, dall'altra, nessun giudicato è possibile individuare sulle restanti questioni di merito risolte dal giudice di primo grado, dal momento che il ricorrente ha espressamente esteso la propria impugnazione alla sentenza pretorile “in ogni sua parte” (cfr. le conclusioni richiamate nella parte introduttiva della sentenza di appello).
Venendo all'unico motivo del ricorso principale, deve preliminarmente rilevarsi che sulla natura disciplinare del licenziamento impugnato non v'è questione, né come si è già visto in precedenza, è in contestazione la dimensione occupazionale della società resistente.
Deve disattendersi - in quanto manifestamente infondata - la questione di legittimità costituzionale, pur espressamente sollevata con il ricorso, dell'articolo  58 dell'allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione) - (rectius- del combinato disposto dell'articolo 1 della legge 24 maggio 1952, n. 628 (Estensione delle norme dei R.D. n. 148/193 1, al personale delle filovie urbane ed extra urbane e delle autolinee urbane) e degli articoli 1, 3 e 4 della legge 1054/60 (recante l'estensione delle norme contenute nel medesimo R.D. n. 148/1931, al personale degli autoservizi extra urbani), e dell'articolo 58 dell'allegato A al R.D. da ultimo citato - nella parte in cui attribuisce al giudice amministrativo, anziché al giudice ordinario, la giurisdizione in materia di controversie disciplinari relative agli autoferrotranviari.
In questi termini, del resto, pronunziandosi proprio sull'ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano in data 20.8.2001, espressamente richiamata dal ricorrente, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della medesima questione (ord., 7.11.2002, n. 439) e identica soluzione, già condivisa in passato (sentenza 62/96; ord., n. 161/02) è stata ancora una volta, più di recente, adottata dal Giudice delle leggi (ord., 29.9.2004, n. 301).
I motivi su cui poggiano queste pronunce - peraltro condivisi da queste Sezioni Unite (ord. del 16.11. 2002, n. 1, 6049 e sentenza 1165/00) -possono così riassumersi:
a) la perdurante specialità dei rapporti degli autoferrotranvieri (e dei lavoratori ad essi assimilati per legge) pur dopo le riforme introdotte dalla “contrattualizzazione” del pubblico impiego, nonché la peculiarità delle scelte organizzative nelle relative aziende di trasporto, ed ancora il compiuto ed organico sistema disciplinare delineato per legge, hanno giustificato la scelta  discrezionale del legislatore, preordinata a tutelare l'interesse collettivo -ritenuto preminente - al buon funzionamento ed efficienza del servizio pubblico del trasporto anzidetto, avuto riguardo alle variegate e multiformi tipologie di gestione da parte di aziende autonome o da parte di soggetti privati, tutti in regime di concessione e con poteri derivanti dal rapporto di concessione in ordine anche alla sicurezza e alla polizia dei trasporti;
b) tale specialità fa sì - sul piano costituzionale - che la ripartizione della giurisdizione non necessariamente dipenda dalla giurisdizione ormai attribuita in via generale al giudice ordinario in materia di rapporti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche, il che rende non irragionevole, né arbitraria, la scelta discrezionale del legislatore di non intervenire (modificandola) sulla specifica regolamentazione delle sanzioni disciplinari dei dipendenti delle aziende di trasporto, siano esse affidate a gestione pubblica o privata;
c) non può affermarsi, in linea di principio, che dinanzi al giudice amministrativo sia offerta una tutela meno vantaggiosa o appagante di quella che si avrebbe davanti al giudice ordinario.
Quanto alla questione di giurisdizione, non si ignora che questa Corte ha più volte affermato che l'entrata in vigore del nuovo regime di “privatizzazione” (rectius: “contrattualizzazione”) del pubblico impiego, operata dalle norme indicate dal ricorrente nel motivo di ricorso, non ha determinato l'abrogazione dell'art. 58 dei R.D. 8.1.1931, n. 148, all. A, nella parte in cui attribuisce al Giudice amministrativo la cognizione delle controversie relative all'irrogazione di sanzioni disciplinari a carico degli autoferrotranvieri (cfr. da ult. Cass. SSUU, 27.1.2004, n. 1413; Cass. SSUU, 2.4.2003, n. 5073; Cass. SSUU, 24.1.2003, n. 1123; Cass. SSUU., 14.11.2002, n. 16049, ed altre)
Inoltre, con particolare riferimento alla dedotta mancanza di una pronunzia del Consiglio di disciplina, nei cui confronti soltanto - a giudizio del ricorrente - potrebbe porsi la giurisdizione amministrativa, questa Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenza16049/02 cit.) che la soppressione delle funzioni amministrative statali e della Regione Lombardia in materia di nomina dei consigli di disciplina per le ferrovie in concessione e per le aziende di trasporto pubblico locale (articoli. 102, comma 1, lettera b, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e 3, comma 126, nonché legge Regione Lombardia del 5 gennaio 2000 n. 1, richiamati dal ricorrente in memoria) ha esplicato efficacia quanto agli organi competenti ad infliggere sanzioni disciplinari ma non quanto al riparto della giurisdizione, tanto più che i consigli di disciplina irrogavano soltanto le sanzioni più gravi (articolo. 43 r.d. cit.: perdita di anzianità retributiva; articolo 44- retrocessione; articolo. 45: destituzione).
Nemmeno ricorre nella fattispecie l'ipotesi esaminata dalla sentenza 1415/04, di queste SU che ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla illegittimità di una sanzione disciplinare, pur irrogata nel contesto di un rapporto di natura identica a quella oggetto del presente giudizio, allorché l'accertamento di tale illegittimità e la conseguente disapplicazione dell'atto che ha disposto la sanzione possa essere effettuato in via incidentale. Ed infatti, nella fattispecie oggetto dell'indicata pronuncia delle SSUU la domanda giudiziale mirava ad ottenere la dichiarazione di nullità del provvedimento disciplinare impugnato, e solo come conseguenza, la condanna al risarcimento dei danni, laddove la dichiarazione di invalidità della sanzione -se operata in via principale - ha automaticamente altri effetti (ad es. ai fini della illegittimità dell'art. 58 reiterate negli ultimi anni, la Corte costituzionale è sempre partita dal dichiarato assunto dei remittenti che quella norma non era stata abrogata né espressamente, né implicitamente, dalla normativa succedutasi nel tempo (cfr. in particolare l’ordinanza n. 439 del 2002).
La stessa Corte ha pure condiviso la specialità “residuale” del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, soprattutto per quanto attiene al “compiuto ed organico sistema disciplinare”, specialità che, peraltro, pur manifestando elementi di “disomogeneità”, o di “incoerenza” rispetto al regime di piena privatizzazione concernente l'area contigua dei rapporti di lavoro del personale delle Ferrovie dello Stato, non giunge a rendere manifestamente irragionevole né arbitraria la scelta discrezionale del legislatore di rendere giustiziabili davanti al giudice amministrativo le sanzioni disciplinari dei dipendenti dell'anzidetto settore del trasporto (spec. ordinanza n. 161 del 2002).
In effetti - come pure la dottrina ha sottolineato in varie occasioni -questa “disomogeneità” o “incoerenza” del sistema non riguarda solo la giurisdizione in materia disciplinare, ma l'intero rapporto di lavoro, ancora disciplinato da un corpus di norme che sembra aver resistito a qualunque riforma e modificazione,  pur notevole, intervenuta nel nostro ordinamento giuridico dal lontano 1931 (il codice civile, la Costituzione, la privatizzazione del pubblico impiego, per citare le tappe più rilevanti),
Orbene, proprio partendo da questa premessa, e seguendo più da vicino l'evoluzione della normativa succedutasi negli ultimi anni, è ragionevole ritenere che sia maturata una sostanziale abrogazione della norma in questione, sicché, per questa via, si giustifica un mutamento dell'indirizzo giurisprudenziale fin qui manifestato da questa Corte di legittimità.
I primi sintomi della progressiva “devitalizzazione” dell'articolo 58 operata dalla normativa dei settore possono già cogliersi nella legge 22.9.1960 n. 1054 la quale ricondusse nel contesto privatistico il regime disciplinare degli autoferrotranvieri per le aziende di modeste dimensioni, con meno di 26 dipendenti.
Significativa, in proposito, è la sentenza 25.10.1993, n. 10602 di queste Sezioni Unite la quale chiarì come con detta legge - il legislatore ha voluto evitare di gravare le aziende di modeste dimensioni con l'istituzione del consiglio di disciplina e con l'applicazione della regola dei procedimento disciplinare, sottraendo nel contempo alla giurisdizione amministrativa le controversie con i propri dipendenti aventi tale natura. Con la conseguenza che il requisito dimensionale dell'impresa determina quindi il passaggio dalla giurisdizione ordinaria prevista per le controversie di lavoro alla giurisdizione amministrativa, sempre naturalmente che il licenziamento rivesta il carattere di provvedimento disciplinare (nello stesso senso, v. Cass.. n. 2290 dei 1984 e n. 2514 del 1987).
Nell'occasione le SSUU affermarono che l'applicabilità delle norme del decreto 8.1.1931 n. 148 costituiva la regola per le aziende che esercitano autoservizi extraurbani, a condizione peraltro che venisse superato il limite dei 25 dipendenti, costituente l'elemento condizionante il potere giurisdizionale del giudice ordinario.
Per le aziende al di sotto di tale limite persisteva, invece, la giurisdizione del giudice ordinario, in conformità dei principi generali.
La progressiva privatizzazione del settore dei trasporti pubblici, realizzata prima con la trasformazione dell'azienda delle Ferrovie dello Stato prima in ente pubblico economico e successivamente in società per azioni, ha marcatamente evidenziato gli elementi di specialità “residuale” del regime disciplinato dal R.D. del 1931. n. 148.
Un significativo momento del lungo processo di delegificazione di quest'ultima disciplina è contrassegnato dalla legge 12 luglio 1988 n. 270 il cui articolo 1, comma 2 prevedeva che a partire dal novantesimo giorno dalla sua entrata in vigore “....le disposizioni contenute nel regolamento allegato al R.D.,8 gennaio 193 1, n. 148, ivi comprese le norme di legge modificative, sostitutive od aggiuntive a tale regolamento potevano essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria ed i regolamenti d'azienda non potevano derogare ai contratti collettivi”.
Nonostante lo scarso impatto di tale novità (in quanto non assecondata dall'autonomia collettiva la quale non avverti l'importanza della “delega” affidatale dalla legge) non può negarsi che la scelta del legislatore di affidare, in via esclusiva, alle parti sindacali il compito di regolamentare il rapporto di lavoro, metteva già allora in crisi una delle ragioni che giustificava la specialità della disciplina del 193 1 - non essendo più attuale l'esigenza di far convivere -attraverso la predisposizione di un'unica disciplina - la tutela degli interessi generali, collegati al buon funzionamento dei servizio, con quelli particolari, propri del contratto di lavoro che legittimava la previsione di una duplice competenza giurisdizionale.
La tendenza verso un graduale avvicinamento della disciplina del rapporto di lavoro in questione a quella del rapporto privato, già anticipata dalla legge 93/83 (legge-quadro sul pubblico impiego) attraverso una valorizzazione dell'autonomia collettiva quale fonte sussidiaria della medesima disciplina, trovò il suo culmine nella legge 421/92, la quale delegò il Governo alla “razionalizzazione e revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”. Tale obiettivo fu realizzato - già con il primo dei decreti delegati (D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) - attraverso la graduale soggezione dei rapporti alle norme di diritto civile ed alla contrattazione collettiva e individuale, nonché alla giurisdizione del giudice ordinario “salvi, per ciò che attiene ai rapporti di pubblico impiego, i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzati”.
In particolare, quanto alla materia disciplinare, il generale principio dell'assoggettamento alle norme contenute nell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori ed alla contrattazione collettiva, fu realizzato attraverso l'abrogazione degli articoli. 100-123 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 da parte della legge 15.3.1997, n. 59.
Già a questo stadio dell'evoluzione normativa può dirsi che la generale attrazione del pubblico impiego - salvo specifiche eccezioni - nell'area dei diritto privato e il suo assoggettamento alla disciplina generale del lavoro privato, minavano fortemente le ragioni della permanenza della specialità del regime disciplinare configurato dall'antica legge del 193 1.
L'ulteriore processo di privatizzazione e liberalizzazione delle forme di gestione del servizio pubblico di trasporto evidenzia ancora di più la vetustà della disciplina in questione, anche con riferimento ai soggetti esercenti i servizi pubblici locali.
Le innovazioni che, in misura crescente già all'inizio degli anni '90 interessavano sempre più le varie modalità di intervento dell'economia pubblica - incidendo sugli assetti organizzativi, sulle tecniche di gestione del personale, sull'organizzazione della contrattazione collettiva e sulla normativa applicabile ai rapporti collettivi ed individuali - si ripercuotevano inevitabilmente sulla disciplina dei rapporti di lavoro.
Sulla medesima linea evolutiva si colloca anche la normativa sul nuovo ordinamento delle autonomie locali e sulle grandi privatizzazioni, attraverso cui gli enti locali cercavano di rispondere alle sfide del “mercato”, con la sostituzione alle aziende municipalizzate e a quelle “speciali”di vere e proprie società commerciali (cfr. l' art. 4 del d.l. 31. gennaio 1995, n. 26 convertito in legge 29 marzo 1995, n. 95, che imponeva agli enti locali di adeguare l'ordinamento delle Aziende speciali alle disposizioni dell'art. 23 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Significativo era, ad es., l'art. 22 ss. di quest’ultima legge in base al quale i comuni e le province potevano scegliere tra cinque forme di gestione dei servizi pubblici locali: a) in economia, b) in concessione a terzi, c) a mezzo aziende speciali, d) a mezzo istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale, e) e a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale).
La scelta di tali nuove forme di gestione - che si traducevano in più agili strutture di tipo privatistico - era finalizzata alla creazione di una collaborazione tra diversi soggetti, pubblici e privati, portatori di capitali, e competenze tecniche diverse allo scopo della migliore erogazione del servizio.
La disciplina di questa privatizzazione ha trovato ulteriore riscontro nella legge del 15 maggio 1997, n. 127 che ha previsto la possibilità, per gli enti locali, di trasformare, con procedure semplificate, l'azienda “speciale” costituita ai sensi della legge n. 142 dei 1990, in società per azioni.
Per altro verso, l'avvenuta completa “devitalizzazione” dell'art. 58 ha trovato una ennesima conferma nel d.lvo del 31 marzo 1998, n. 112 - attuativo della delega disposta dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 sul conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali - il cui art. 102, lett.b) ha soppresso le funzioni amministrative relative alla nomina dei consigli di disciplina.
In proposito, non può non convenirsi con quanto sostenuto dall' Adunanza plenaria del Cons. Stato, nel parere reso in data 19.4.2000 (richiamato nel giudizio davanti alla Corte costituzionale conclusosi con l'ordinanza n. 301 del 2004) nel senso che l'effetto abrogativo della norma da ultimo citata non può limitarsi alla caducazione delle sole norme procedimentali sulla nomina e composizione dei consigli di disciplina e che la soppressione dei consigli di disciplina ha confermato l'avvenuta abrogazione implicita delle norme del r.d. che postulano l'operatività di tali organi, inclusa la devoluzione alla giurisdizione amministrativa dei ricorsi avverso le loro decisioni.
Ma il processo di privatizzazione (rectius “contrattualizzazione”) dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni aveva già in precedenza registrato un decisivo intervento anche in materia di competenza a decidere delle relative controversie, con la conseguenza che anche questo versante ha contribuito a travolgere l'assetto complessivo del R.D. del 1931, sottraendo sin da allora ogni residuo spazio di operatività dell'art. 58.
Ed infatti - come già si è rilevato più sopra - il trasferimento dal giudice amministrativo a quello ordinario del contenzioso dell'ex pubblico impiego, già anticipato dalla legge delega del 1992, è stato introdotto, come regime generale, già con l'art. 68, primo comma del d.lgs. n. 29 del 1993 ai sensi del quale venivano “in ogni caso devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie attinenti al rapporto di lavoro in corso in tema di sanzioni disciplinari”, mentre restavano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative ai rapporti di impiego del personale di cui all'art. 2, commi 4 e S. Tale norma - destinata, peraltro ad operare “a partire dal terzo anno successivo alla data di entrata in vigore” del medesimo decreto e, comunque non prima della fase transitoria di cui all'art. 72” (comma 4 dell'art. 68) - è stata riprodotta, con qualche modifica (non rilevante ai fini che interessano in questa sede) dall'art. 33 dei d.lgs. n. 546 del 1993, poi dall'art. 29 del d.lgs, n. 80 del 31 marzo 1998, quindi, dall'art. 18 del d.lgs., n. 387 del 1998 e, finalmente dall'art. 63 del d.lgs., 30 marzo 2001, n. 165 (t.u. del pubblico impiego). Se ne può trarre, dunque, la conclusione che sin dall'operatività della disposizione originaria dei 1993, deve ritenersi compiuta l'abrogazione implicita dell'art. 58 del r.d. n. 148 del 193 1, oggetto del presente giudizio, proprio perché l'indubbia portata generale della disposizione del 1993 non avrebbe consentito più al giudice amministrativo, trascorso l'indicato periodo transitorio, di occuparsi di controversie di lavoro se non nei casi espressamente tenuti fuori dal processo di privatizzazione (art. 3 del t.u. cit.).
A fronte della chiara ed univoca evoluzione della disciplina complessiva del rapporto di pubblico impiego, diventa, d'altro canto, più difficile sostenere ancora la specialità del rapporto degli autoferrotranvieri.
Tale specialità - vistosamente sbiadita dai numerosi interventi normativi appena rievocati - appare ormai in tutta la sua anomalia, proprio sul terreno della giurisdizione poiché la competenza del giudice amministrativo a decidere delle controversie relative a quei rapporti di lavoro trarrebbe la sua ragione proprio in quella specialità che, invece, è ormai venuta del tutto meno.
La conclusione non cambia ove si voglia ricercare il fondamento della giurisdizione amministrativa nelle ragioni di “sicurezza” o del “preminente interesse collettivo connesso al regolare svolgimento del servizio pubblico di trasporto”.
E' bensì vero che sulla base di tali ragioni, la giurisprudenza di queste SSUU in passato ha collaudato più volte la riserva di giurisdizione amministrativa nella materia disciplinare de qua (cfr., in proposito, la sentenza 8.1.1992, n. 108 di queste Sezioni Unite - già anticipata da Corte costituzionale, con sentenza del 12.7.1984, n. 208, e richiamata, anche da ult. da SSUU 23.3.2004, n. 5779 - la quale affermava l'applicabilità dell'art. 58 dell'allegato A del R.D. n. 148/1931, a tutti i provvedimenti disciplinari - siano essi irrogati all'autoferrotranviere dal Consiglio di disciplina, o anche dagli organi aziendali), sennonché quest'ultimo argomento non sembra decisivo se si considera che esso vale anche con riferimento ad altri aspetti del rapporto di lavoro che pure sono connessi a quello stesso interesse collettivo: per restare in un'area più contigua a quella delle sanzioni disciplinari, si pensi ai licenziamenti individuali (di natura non disciplinare) o collettivi, alle mansioni, nonché ai trasferimenti dei personale, tutti aspetti la cui regolamentazione non può essere insensibile alle medesime esigenze di pubblico interesse sopra indicati.
Senza contare che le medesime ragioni di sicurezza sono ben presenti, e anche in termini anche più vistosi, nei rapporti di lavoro riguardanti il medesimo settore dei trasporti (ad. v. trasporto aereo, e trasporto ferroviario) rispetto ai quali è pacifica la piena giurisdizione del giudice ordinario.
E’' pure il caso di aggiungere che non sarebbe comprensibile sottovalutare il descritto processo evolutivo subito da una disciplina che -concepita in epoca pre-costituzionale - non può più essere interpretata senza tener conto del mutato sistema di riferimento nel quale l'art. 58 è venuto ad operare, nel corso di oltre settanta anni: con la conseguenza che non appare più possibile limitarsi a prendere atto di una mancata espressa abrogazione di tale norma.
Alle conclusioni qui espresse non è di ostacolo la legislazione regionale, la quale, in qualche occasione si occupa ancora dei Consigli di disciplina operanti all'interno delle aziende di trasporto locale (cfr., ad es., l' art. 3, c. 126 della legge 5.1.2000, n. 1 della Regione Lombardia; nonché l’art. 25, c. 3 della legge 25.3.1999, n. 13 della Regione Puglia).
E' sufficiente rilevare, infatti, che tali interventi normativi non consentono, per loro natura di incidere né sulla natura negoziale dei provvedimenti disciplinari riguardanti gli autoferrotranvieri, né sul riparto delle competenze giurisdizionali, materia certamente estranea all'autonomia regionale (in questo senso, peraltro, si erano già espresse queste Sezioni Unite con la sentenza dei 14.11.2002, n. 16049).
L'argomento qui patrocinato da queste Sezioni Unite a favore della implicita abrogazione “per incompatibilità con il sistema complessivo” dell'art. 58, e, con esso, della persistente giurisdizione amministrativa prefigurata da tale norma, trova sostegno anche da una recentissima pronunzia della stessa Corte costituzionale la quale tocca significativamente più ambiti di quella giurisdizione.
E' il caso della sentenza 6.7.2004, n. 204 la quale, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, c. 1 del d.lgs. n. 80 del 1998 in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha precisato che delle controversie sui pubblici servizi, rientrano ancora nella giurisdizione amministrativa, quelle nelle quali l'amministrazione pubblica agisce esercitando il suo potere autoritativo, oppure utilizza strumenti negoziali sostitutivi del potere autorizzativo stesso.
Nell'occasione il Giudice delle leggi ha sottolineato come “anche a voler prescindere dall'irragionevolezza della scelta legislativa di esaltare il ruolo del giudice amministrativo nel momento in cui al c.d. “modello autoritativo dei rapporti cittadino-pubblica amministrazione viene sempre più sostituito il c.d. “modello negoziale”, una tale scelta - unita al conferimento al giudice amministrtivo di e quindi anche risarcitori, persino - farebbe sì che .
Si legge nell'indicata sentenza che, in base allo spirito dell'art. 103 c1 Cost. (il quale non ha riconosciuto al legislatore ordinario un'assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito piuttosto il potere di indicare “particolari materie” nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe anche diritti soggettivi) il necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva dei giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive presuppone proprio che quelle materie siano “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: ciò significa che esse “debbono partecipare della loro stessa natura, contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo”.
Orbene, non può negarsi che a quest'ultimo ambito restano del tutto estranei i provvedimenti disciplinari adottati da un'impresa di trasporti nei confronti di un proprio dipendente, trattandosi della manifestazione di un potere contrattuale esercitato in posizione paritaria, non dissimile da quello proprio di qualunque altro datore di lavoro privato.
L'estensione della giurisdizione ordinaria alle controversie concernenti tutti i momenti e gli aspetti del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, oltre a restituire piena coerenza al sistema, soddisfa anche l'esigenza di certezza del diritto rimuovendo spazi di ambiguità nei casi - non infrequenti - in cui è in discussione la natura stessa (disciplinare o meno) del provvedimento impugnato, ovvero il petitum (annullamento del provvedimento, in via principale, ovvero in via incidentale, quale premessa per il riconoscimento di crediti retributivi o risarcitori su questa alternativa, si fronteggiano significativamente le due recenti sentenze di queste SSUU, 27 gennaio 2004 n. 1313 e 1415 ).
L'accoglimento del ricorso principale, con l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla controversia presente, instaurata in epoca in cui l'operatività dell'art. 58 cit. era venuta meno per effetto della riforma introdotta dalla legge n. 29 del 1993, comporta il rinvio della causa alla Corte di appello di Perugia la quale pronunzierà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

PQM
La Corte, a Sezioni Unite, riunisce i ricorsi - accoglie il ricorso principale e respinge il ricorso incidentale. Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Perugia.
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